Riflessioni sul primo Freelancecamp Lecce

Il 28 giugno 2018 a Lecce c’è stata la prima edizione al sud del Freelancecamp.

Il primo Freelancecamp nella mia Puglia ha decisamente soddisfatto le aspettative.
In questa giornata entusiasmante ho conosciuto belle persone e avuto il piacere di conoscere dal vivo chi seguivo online già da tempo.

Puoi vedere i video di tutti gli interventi sul sito del Freelancecamp e le bellissime foto ufficiali di Anna Agrusti e Joana Ferreira.

Tra sorrisi, riflessioni, dibattito, pause yoga e scambi stimolanti, come sempre c’è tanto da imparare da ognuno. Perché se i liberi professionisti si distinguono per le competenze, l’esperienza, le attitudini, i limiti e le qualità, ognuno può migliorare grazie alla condivisione delle esperienze dell’altro.

Come ha detto Gianluca Diegoli nel suo intervento, una delle cose da ricordare sempre è: non sottovalutare il tempo. Dato che il tempo è la risorsa più preziosa che abbiamo, dobbiamo anche fare attenzione ai perditempo, che possono essere clienti, collaboratori o fornitori che minacciano la nostra produttività.

Un valido aiuto arriva dall’organizzazione che, come ha mostrato Chiara Battaglioni, è uno strumento che regala libertà: alleggerire la mente stilando liste anti-ansia aiuta a lavorare meglio e a evitare di correre come pazzi, ad esempio grazie alla lista “ta-daaan” in cui mettere nero su bianco i traguardi raggiunti.

Nel suo intervento, Rossana Turi ha illustrato cosa ha imparato lavorando con suo marito e il suo cane. Mi sono immedesimata nella parte dedicata al compagno a quattro zampe, visto che da quando c’è Sheila sento che la qualità della mia vita è migliorata.

Il cane ha le sue esigenze, tra cui lo spazio, i bisogni, il gioco e il movimento. E quando un cane entra nella tua vita, impari a gestire meglio il tempo perché sai che dovrai dedicarne tanto anche a lui. Tra le passeggiate e le scampagnate insieme a Sheila ho imparato, proprio come Rossana, a passare più tempo all’aria aperta, a riposare meglio, a fare più movimento e a cercare sempre un motivo per sorridere: se sei stressato, stanco, depresso, arrabbiato, il cane è lì e non ti giudica, ti fa rilassare, giocare e sorridere. Ti fa stare bene.

Sono tornata a casa con la convinzione che il Freelancecamp non sia un evento destinato soltanto ai freelance. È importante confrontarsi anche con imprenditori e dipendenti in eventi di questo tipo perché, anche se lavora in autonomia, il freelance non è quello che se la canta e se la suona: è un professionista che esiste perché sa risolvere un problema. Il problema del cliente.

Pertanto il rapporto col cliente va curato, le strategie per migliorare devono essere misurate e il freelance non deve mai smettere di sperimentare.

C’è una cosa a cui porre fine? Sì, il lamento. Infatti Alessandra Farabegoli ce lo ricorda sempre: dobbiamo trovare soluzioni e condividerle, smettere di lamentarci e decidere di cambiare. Insomma, #bastalagne.

Evitiamo di sprecare tempo ed energie a lamentarci. Impariamo a negoziare meglio e ricordiamo che dobbiamo essere noi i primi a migliorare la nostra percezione agli occhi dei non addetti ai lavori.

Proprio perché freelance, siamo responsabili della scelta che abbiamo fatto.

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Foto di Joana Ferreira

4 anni di Partita Iva

Ho aperto la Partita Iva un pomeriggio di quattro anni fa. Mentre andavo allo studio del commercialista, le strade erano deserte perché tutti stavano guardando una partita dell’Italia ai Mondiali.

Quattro anni dopo, mi guardo alle spalle e vedo la strada che ho percorso: salite, spesso molto ripide, discese, tratti pianeggianti, altri irti di ostacoli. Punti in cui sono inciampata, sono caduta e mi sono rialzata. Vedo le mie impronte a volte esitanti e poi sempre più decise nel seguire la direzione scelta con consapevolezza.

Il mio percorso è probabilmente simile a quello di altri freelance, ma in realtà ognuno si distingue in qualcosa: gli errori, le scelte, gli incontri, le delusioni, i traguardi, la paura, la determinazione, il coraggio.

La parola chiave? Perseveranza.

Le cose sono cambiate molto in quattro anni di libera professione. E sono cambiata io.

In questi anni di lavoro come traduttrice freelance ho imparato tanto.

L’entusiasmo iniziale era sempre accompagnato dalla paura. Di non farcela, di non riuscire a pagare le tasse (soprattutto quando arriva la mazzata del secondo anno di libera professione), di deludere me stessa e gli altri.

Il segreto? Rimboccarsi le maniche, fare, agire. Sempre.

Anche nei periodi di magra, quando non arrivano richieste dai committenti, né le risposte di potenziali clienti, i giorni passano e sembra di non concludere nulla.

Ma ho imparato che c’è sempre qualcosa da fare. Aggiornare il curriculum, contattare potenziali clienti, seguire attività di formazione professionale, curare la comunicazione online con post sul blog e l’aggiornamento dei profili. E poi vedere gente, stringere mani e darsi sempre da fare.

Nei primi mesi di lavoro come freelance ho fatto qualche esperienza di interpretariato per aumentare il fatturato o riempire periodi vuoti. Sono state esperienze stimolanti che mi hanno arricchito come persona e come professionista, ma ho sempre saputo che la mia strada era una soltanto: la traduzione.

E quando i clienti sono aumentati, l’entusiasmo e la passione mi inducevano a dire di sì alla traduzione urgente che richiedeva orari di lavoro improponibili, tarda sera e fine settimana compresi, a progetti che non mi entusiasmavano ma che mi aiutavano ad aumentare il fatturato, a collaborazioni con il committente che non tiene conto del ritmo di lavoro del freelance e pensa che sia disponibile in qualsiasi momento, anche se gli manda una richiesta alle 22:00.

Poi ho finalmente capito che un ritmo di vita di questo tipo non è sostenibile. Né per me né per chi mi è accanto. Così ho iniziato a dire i primi no e, sorpresa! Il mondo non è crollato.

Ho imparato a rifiutare progetti che non sono nelle mie corde, lavori non compatibili con i tempi di consegna delle altre traduzioni, visto che la giornata è di 24 ore ma non significa che bisogna lavorare 24 ore al giorno.

Ho detto di no a condizioni di collaborazione che non mi soddisfacevano e ho acquisito una maggiore sicurezza anche in situazioni spiacevoli che possono capitare.

Se un cliente ritardava il pagamento della fattura, all’inizio mi sentivo in imbarazzo nel sollecitarlo. Ma poi ho capito che non c’è niente di imbarazzante nel chiedere ciò che ti è dovuto. Se ho svolto un ottimo lavoro nelle condizioni stabilite e consegnato la traduzione nei tempi concordati, il cliente è tenuto a pagarmi nei tempi pattuiti, giusto?

Può sembrare una domanda sciocca, ma è importante ricordare che il freelance non lavora né per passione né per hobby. Non lavora per arrotondare, ma per fatturare. E che non sono i like e i follower a indicare che un’attività sta funzionando. È il fatturato. O meglio, il fatturato che cresce.

Grazie al fatturato in crescita, ho imparato a fare i giusti investimenti, come l’acquisto di SDL Trados Studio che è imprescindibile per un traduttore freelance.

E soprattutto ho imparato a dare il giusto valore alla risorsa più preziosa del freelance: il tempo.

Tempo da dedicare alla parte produttiva vera e propria, ossia la traduzione, ma anche alla contabilità, al personal branding, alla formazione, al networking.

E il tempo per sé. Staccare per andare a passeggiare con la cagnolina, per bere un caffè con un’amica, per partire per Roma e trascorrere tempo prezioso con la sorella gemella. Programmare un viaggio, una serata a teatro, leggere, andare al cinema.

Insomma, trovare l’equilibrio. Ci vogliono anni, ma è possibile. Continuando ad avere ambizioni, a fissare obiettivi e a lavorare sodo per raggiungerli. Continuando a crescere.

Perché non ci sarà mai un giorno in cui sentirò di “essere arrivata”. La parola successo è effimera. Perché anche se la mia attività è cresciuta molto, ciò che conta davvero è l’impegno, il sudore, la costanza, l’autodisciplina e il movimento verso la direzione scelta.

La strada continua.

Il traduttore freelance è solitario o solidale?

Il traduttore è il professionista solitario per eccellenza oppure è votato alla condivisione con gli altri?

Provo a dare una risposta con una metafora tratta dal mio adorato Albert Camus il cui pensiero è articolato nell’apparente opposizione tra solitaire e solidaire, due concetti che in realtà si completano sottolineando il ruolo del singolo nella comunità.

Il traduttore è un essere invisibile, spesso considerato come una figura appartata e riservata nella solitudine della sua attività.

Ma è davvero così?
Può sembrare un’immagine romantica, ma analizziamola meglio.

Il traduttore freelance lavora da remoto, in genere da casa.

Come libero professionista, è un lavoratore indipendente che si occupa di progetti commissionati da diversi clienti.

Può essere una professione piuttosto solitaria, soprattutto secondo l’immagine diffusa del lavoratore solo soletto nel suo studio che macina parole al computer. È sempre sotto consegna, ha poche interazioni nel corso della giornata in virtù dell’assenza dei colleghi dei tradizionali lavori d’ufficio.

Il traduttore freelance interagisce essenzialmente con gli eventuali conviventi (genitori/partner/figli) che condividono i suoi spazi, oppure in modo virtuale.

In quanto freelance, può lavorare dove vuole e quando vuole.

Ma è proprio vero che il traduttore freelance è un lavoratore solitario che lavora fuori dai normali orari di lavoro?

Direi di no. Perché i clienti del traduttore seguono gli orari d’ufficio e il traduttore freelance deve essere reperibile in quegli orari per la corrispondenza con i clienti, le email, i preventivi, le consegne e quant’altro.

Certo, può lavorare anche alle 20:00 mentre in azienda la giornata si è conclusa, talvolta fino a tarda notte o a partire dal mattino presto. Da un lato si tratta di abitudini poco salutari se portate avanti a lungo termine, perché è importante staccare. Senza dubbio può capitare per gestire un’urgenza o diversi progetti contemporaneamente, ma deve restare un’eccezione. E d’altro canto come si fa a non seguire orari specifici per organizzare la propria giornata?

Trattandosi di una professione per cui l’organizzazione e l’autodisciplina sono essenziali, non ci si può alzare al mattino senza mettere in pratica un minimo di routine lavorativa.

Non esistono traduttori che lavorano improvvisando. Intendo i professionisti, quelli che fatturano e il cui reddito dipende dalla traduzione, non gli hobbisti o chi traduce occasionalmente per arrotondare.

Chi non ama lavorare da casa e preferisce “fare cose e vedere gente”, sceglie un coworking, cioè uno spazio condiviso dove incontrare altri professionisti.

Il traduttore solitario e solidale

In realtà, la traduzione è un’attività che poggia sulla solitudine del singolo e lo rende un essere solidale, partecipe della comunità, grazie al suo lavoro. Perché il traduttore rende possibile la comunicazione ostacolata dalle barriere linguistiche, diventando un traghettatore di messaggi e facilitando lo scambio tra più individui. Quindi è una professione che contribuisce in modo determinante alla collettività.

E poi c’è il networking, la creazione di una rete di contatti tramite incontri in carne e ossa e chat con gli altri traduttori, gli scambi su Skype, i momenti di formazione e di collaborazione fra traduttori, le videoconferenze con i clienti. E il traduttore che ha clienti nella zona fa loro visita e va a trovarli direttamente in azienda.

Insomma, non pensare al traduttore come a quel poveretto che traduce a lume di candela nel buio di una stanza nel cuore della notte. Non esiste. Il traduttore freelance è una parte attiva della comunità.

Come dico sempre: Traduco, ergo sumus. Traduco, dunque siamo.

Equilibrio e crescita: cosa insegna il fattore tempo

Il tempo è sottovalutato. E se c’è una cosa che ho imparato quest’anno è proprio questa: non si può dilatarlo all’infinito per inserire tutte le incombenze di cui devi occuparti, ma occorre fare delle scelte e metterle in pratica con responsabilità.

Lavorare il fine settimana o la sera: ma anche no.

Può capitare occasionalmente, ma non deve diventare una routine. L’ho imparato sulla mia pelle, quando a inizio anno ne ha risentito anche la salute psico-fisica: stress a non finire, lavoro ininterrotto per settimane, sere e weekend inclusi, senza mai riuscire a staccare, traduzione dopo traduzione.

Cosa ho imparato: Non trascurare la salute! L’equilibrio fisico è fondamentale tanto quanto quello mentale. Il riposo è essenziale. Dire di no lo è altrettanto. Perché il sovraccarico può compromettere la salute e tante altre cose. Allora ho detto basta alla collaborazione con alcuni clienti che non sembrano capire che il traduttore non è una macchina e che non può essere vigile e scattante e pronto ad accettare un progetto anche alle 22:00.

Non controllare la posta elettronica a qualsiasi ora.

Se sono sul Frecciargento di venerdì mattina perché sto andando a Roma, ho già segnalato la mia assenza ai clienti da diversi giorni. Quindi non devo pensare a potenziali incarichi che potrebbero giungere proprio in quelle ore.

Ed è successo, ovvio. Quante volte ti è capitato che, proprio quando comunichi di non essere disponibile in determinati giorni, i progetti fioccano come se non ci fosse un domani?

Non so spiegare questo paradosso, ma è reale. E se in passato era inevitabile dare una sbirciatina alla posta elettronica pensando “magari c’è un’urgenza o è una questione di minuti, che male c’è?”, oggi la penso in modo diverso. Perché dopo aver segnalato la mia assenza al cliente, mi aspetto che venga rispettata. Se mi propone comunque un progetto proprio in quelle ore o in quei giorni in cui sa che non sono disponibile, la percepisco come una mancanza di rispetto. Del resto al cliente non piacerebbe essere importunato per questioni di lavoro di domenica, durante una gita fuori porta con la famiglia, vero?

Cosa ho imparato: È meglio godermi il viaggio in treno o il giorno di riposo o la vacanza e non controllare le email. Se ho specificato che non sono disponibile il giorno X, non accetto incarichi. Punto. E leggo la posta elettronica quando torno operativa. È stato difficile, ma è un punto su cui ormai non transigo.

Produttività, equilibrio e Sheila

È difficilissimo dire di no quando sto lavorando a diversi progetti e si presentano altre proposte interessanti. Ma talvolta bisogna farlo, perché è praticamente impossibile gestire millemila traduzioni, consegne che si accavallano e avere anche il tempo di riposare gli occhi dal computer. Così do al cliente il nome di un traduttore che potrebbe occuparsi di quel progetto che devo rifiutare: in questo modo fornisco comunque una soluzione e ho la possibilità di fare una piccola gentilezza a un collega.

Cosa ho imparato: La qualità del proprio tempo deve essere valorizzata, perché esiste altro che richiede la tua attenzione oltre al lavoro: gli affetti, la famiglia, i tuoi interessi e passioni.

Sheila

Sheila

Da quando quest’anno Sheila è entrata nella mia vita, ho imparato a impiegare il mio tempo in modo più produttivo e consapevole. Se a un certo punto stacco per dedicarmi a lei, riesco a farlo perché porto a termine ciò che ho stabilito, senza lasciarmi distrarre da attività trascurabili e che rubavano il mio tempo.

Il principio è più o meno quello seguito da chi ha figli: la cura e la dedizione nei loro confronti non possono essere rimandati. Quindi non si può procrastinare, ma occorre riuscire a organizzare le proprie attività con disciplina e senza dimenticare che l’imprevisto è dietro l’angolo.

Così cerco ogni giorno di valorizzare ogni minuto di lavoro e di pausa, abbracciando l’idea che conciliare le parole equilibrio e crescita è possibile. Eccome se è possibile!

Qual è il contrario della procrastinazione?

Nella vita da freelance, la procrastinazione può essere uno dei mali che affliggono la professione. Si tende a procrastinare per vari motivi: rimandi qualcosa di noioso o che temi di affrontare, sei stanco e non ce la fai ad affrontare i progetti che ti aspettano…

Ma la situazione non può che peggiorare.

Il motivo? Finisci per fare tutt’altro senza rendertene conto: chat su Facebook, messaggi, video su Youtube, lettura di blog inghiottiscono la giornata di lavoro. Poi ci sono le email, le notifiche che interrompono qualsiasi attività a cui ti stai dedicando… solo per parlare delle interruzioni e distrazioni del mondo digitale.

Così addio produttività e la giornata si conclude senza aver raggiunto gli obiettivi prefissati.

Procrastinazione: la mia esperienza

Ti confesso che la procrastinazione non mi caratterizza. Anzi… direi che è il contrario. 😀

Il senso dell’autodisciplina mi guida in ogni cosa e nel lavoro faccio una serie di scelte finalizzate a non compromettere la produttività.

Certo, le interruzioni non mancano, ma cerco di limitarle il più possibile. Ogni giorno deve essere basato sull’organizzazione e la valutazione di eventuali imprevisti. E non posso permettermi di perdere tempo perché, essendo traduttrice freelance, la mia vita lavorativa è scandita dalle consegne.

Se non porto a termine gli obiettivi che mi sono prefissata, mi faccio prendere dall’ansia e la notte non riesco a chiudere occhio, con buona pace della lucidità e del riposo.

Questo senso del dovere mi accompagna da quando ero una bambina. Ai tempi della scuola e poi dell’università sapevo che il mio dovere era studiare. Ma ho sempre affrontato lo studio con passione.

Tuttavia, il contrario della procrastinazione può rivelare il suo lato oscuro. Perché può essere difficile dire di no al cliente, rispettare una determinata fascia oraria oltre la quale mi impongo di non leggere più le email e non lavorare oltre una determinata ora.

C’è voluto del tempo e capita di sfiorare il burnout. Perché i periodi di stress possono diventare frequenti e i momenti di pausa troppo pochi. E non smettere mai di lavorare può compromettere la salute, gli affetti, fagocitare intere giornate senza rendertene conto.

Cosa ho imparato?
Ho imparato a trovare un equilibrio, a dire basta prima di arrivare al limite. A non rinunciare ai miei interessi. A rispettare il mio tempo.

Perché la procrastinazione è un male… ma anche il suo contrario può diventare pericoloso.

Che ne pensi? Qual è la tua esperienza al riguardo? 🙂

Lavoro tra musica e silenzio

Quando lavoro prediligo il silenzio.
Credo che sia uno dei motivi per cui non riuscirei a lavorare in un ufficio condiviso con altri colleghi: le chiacchiere, il telefono, le interruzioni mi farebbero impazzire.

Per me il silenzio era necessario già durante gli studi, quando preparavo un esame o scrivevo la tesi. Infatti ricordo la frustrazione dei mesi di scrittura della tesi a causa dei rumori incessanti dei lavori di ristrutturazione del palazzo, a tal punto che i pochi momenti di silenzio di quelle settimane mi sembravano un privilegio.

Da quando lavoro come traduttrice freelance, il silenzio che mi circonda è indispensabile per la concentrazione e la produttività.

Mentre traduco la testa è già affollata dalle parole che leggo e che devo traghettare nella mia lingua, quindi non sopporterei l’ingerenza delle canzoni perché il flusso di parole si accavallerebbe e la concentrazione andrebbe a farsi benedire.

Certo, tutto dipende dai progetti, però talvolta riesco a mantenere la concentrazione anche ascoltando la musica. O meglio: soltanto musica classica o strumentale.

Ascoltando la musica classica, soprattutto Vivaldi e il mio amato Mozart, ho notato che non mi distraggo affatto. Anzi! Le dita si muovono ancora più veloci sulla tastiera perché scelgo appositamente dei brani movimentati e la traduzione diventa ancora più scorrevole e fluisce con naturalezza accompagnata dalla musica. Un esempio: “La Follia” di Vivaldi. Provare per credere! 😉

Ma se sto traducendo i sottotitoli di un video aziendale, non sopporto alcuna interferenza esterna malgrado le cuffie che mi isolano dal resto del mondo, in modo da restare focalizzata sul video e sull’audio da tradurre.

Confesso che ammiro molto chi è in grado di lavorare in un bar o un coworking circondato da tanta gente, voci, rumori, suoni e distrazioni.

E poi c’è chi lavora ascoltando i suoni della natura grazie a Noisli: pioggia, mare, il vento tra gli alberi fanno da sottofondo e ti proiettano in un’atmosfera naturale.

E tu? Qual è la tua esperienza?
Lavori con la musica o hai bisogno del silenzio assoluto? In che modo riesci a concentrarti più facilmente? 🙂

 

Le mie impressioni sul Freelancecamp Roma

Il 16 giugno 2017 si è svolta la prima edizione del Freelancecamp Roma, il barcamp dei freelance che dal 2012 si tiene ogni anno a Marina Romea.

Ho partecipato all’edizione romana e, come mi aspettavo, l’evento è stato assolutamente stimolante e ricco di spirito costruttivo. Questo raduno di freelance non è soltanto un momento di formazione, ma è soprattutto una giornata all’insegna del networking.

Puoi scoprire la storia e le diverse sfumature del lavoro indipendente, visto che si riuniscono diverse figure professionali.
Ma la cosa più bella è il piacere di aver conosciuto di persona diverse colleghe conosciute online, trovando una piacevole sintonia e incontrando volti nuovi o familiari che hanno qualcosa da raccontare.

Fonte: @zarina1973

Fonte: @zarina1973

Nel corso della giornata, si sono susseguiti diciotto interventi: alcuni davvero brillanti e ricchi di spunti, altri un po’ meno. Perché il Freelancecamp è l’occasione perfetta per confrontarsi con altri liberi professionisti: la condivisione delle esperienze ti porta a pensare che siamo un po’ tutti sulla stessa barca e ci fa sentire meno soli.

Così ho apprezzato l’intervento di Francesca Manicardi di Punto F che ha presentato il Freelance Lab e nel suo speech ha toccato vari punti che sono stati affrontati anche da altri speaker. Tra questi, il rapporto con i soldi e il coraggio di parlarne apertamente e con simpatia come ha fatto Alessandra Farabegoli, una degli ideatori del Freelancecamp, che ci ha ricordato che gli equilibri cambiano e l’importanza dei bilanci nella nostra vita professionale.

Donata Columbro ha illustrato un’appassionante metafora tra il freelance e il maratoneta, mentre Simona Sciancalepore ci ha fatto sorridere con i “mai senza” del freelance, tra cui il confronto, l’attività fisica, il prosecco, il pianto e le risate.

Senza dimenticare l’importanza della gestione del tempo, riducendo le distrazioni e le attività sterili, imparando a disconnettersi per migliorare lo stile di vita.

Oppure due importanti moniti di PeopleBranding:

  1. Lavorare gratis significa diminuire la qualità percepita del tuo servizio. Meditate, gente, meditate.
  2. Per quanto il branding e la promozione di se stessi possano aiutarci nel mercato, non sono tutto, anche se oggi inseguiamo la visibilità. Sono le competenze, le conoscenze e le relazioni instaurate a trasmettere al cliente la qualità del lavoro del professionista.

Paolo Cappelli si è soffermato sull’importanza del perché facciamo il nostro lavoro, che ci porta a riflettere sulla nostra unicità. E in questo modo possiamo anche imparare a innovare o a colmare alcune lacune del mercato, differenziandoci dalla concorrenza.
Ho amato particolarmente il suo speech perché analizzava diversi aspetti che sostengo da sempre, come l’importanza dell’empatia nella relazione con il cliente, che ti porta a unire il tuo perché al suo. E soprattutto il ruolo essenziale delle competenze e della comunicazione interculturale quando vuoi vendere un servizio o un prodotto all’estero.

Ecco i video degli speech che ho apprezzato di più. Puoi vedere tutti gli interventi sul sito del Freelancecamp e le foto ufficiali scattate da Giuliana Corrado e Sara Soldano.

Francesca Manicardi – Vademecum per aspiranti freelance

Augusto Pirovano – Come presentare e vendere partendo dai problemi

Donata Columbro – Run like a freelance

Alessandra Farabegoli – I bilanci dei freelance

Paolo Cappelli – Internazionalizzazione del freelance: aprirsi al mercato globale

Cristiano Nordio e Gianluca Fiscato (PeopleBranding) – Dare un prezzo al proprio valore

Matteo Uguzzoni – Seneca, il cash e un quaderno giapponese

Simona Sciancalepore – Come sopravvivere ai mali del freelance

E come dice Alessandra Farabegoli: “Freelancecamp è smettere di lamentarsi e cominciare a cambiare”. 😀

Freelance e vacanze: riesci a staccare?

A differenza di un dipendente che ha le ferie retribuite, un freelance che va in vacanza è consapevole che, se non fattura perché è in pausa, allora non guadagna.

Infatti può essere difficile concedersi una vacanza, soprattutto quando dura più di una settimana. Perché tendi a pensare che i clienti non possono fare a meno di te, ma temi che trovino qualcun altro che ti sostituisca, oppure un potenziale cliente potrebbe contattarti proprio quando non stai lavorando e cerchi di riposare un po’.

Così non riesci a rilassarti in pieno e a godere di momenti rigeneranti in orizzonti diversi: un viaggio, il mare, un luogo mai visto e da scoprire…

Ma staccare è importante per dedicare più tempo a se stessi e ad attività che ti piacciono e per le quali non hai mai tempo. Puoi abbracciare un ritmo di vita più lento, che possa rigenerare e darti la carica necessaria quando tornerai al lavoro.

Qual è la tua esperienza di freelance che va (o non va) in vacanza?

Fai una vacanza breve di qualche giorno oppure ti concedi almeno due settimane?

Digital detox

Le vacanze sono il momento ideale per disconnettersi dal digitale: email, social media, notifiche e quant’altro vengono accantonati per giorni per riposare la mente sempre connessa.

Ma è davvero così?

Quando sei in vacanza ti disconnetti proprio da tutto oppure in realtà controlli le email almeno una volta al giorno?

Per non parlare dei social, che non vengono usati soltanto nell’ambito professionale, anzi. In vacanza pubblichi foto, commenti e post che documentano la tanto sospirata pausa? Oppure preferisci considerare le vacanze come un momento privato, da condividere con chi ti circonda e non con chi è online?

Quindi ti chiedo: durante le vacanze, riesci a staccare da tutto e da tutti o invece ti connetti ogni tanto?

Raccontami la tua esperienza. 😀

Traduttore freelance: quando dire di no a un cliente

 

Lo confesso, dire di no a un cliente non è facile, soprattutto quando si tratta di nuovi clienti che possono arricchire il nostro portfolio (e fatturato).

Di recente mi è capitato di rifiutare progetti di traduzione da due nuovi potenziali clienti. Il motivo? Settimane già completamente piene di traduzioni, revisioni e consegne che non mi avrebbero permesso di dedicarmi come si deve ad altri progetti corposi.

E se il cliente non mi contatta più? E se trova qualcun altro e decide di affidarsi a lui? E se…?

Sono tanti i dubbi che ci assillano in questi momenti. Anche perché poi ci sono quei periodi in cui il lavoro scarseggia e si tende ad accettare qualsiasi cosa pur di fatturare.
Invece dobbiamo imparare a fare pace con questa sorta di senso di colpa, perché ne va della nostra salute mentale e fisica.

Se lavori come traduttore freelance, ecco alcuni casi in cui dovresti dire di no a un cliente:
  • Le combinazioni linguistiche richieste per la traduzione non sono quelle con cui lavori tu.
  • Hai lavorato in passato con questo cliente che non ti ha ancora pagato o ti ha pagato con un ritardo imperdonabile e quindi non ti fidi.
  • Non credi che il progetto sia nelle tue corde, perché riguarda un settore in cui non sei specializzato o richiede competenze che non hai.
  • Il budget proposto per la traduzione è troppo basso. NO alle tariffe da fame!
  • Hai un carico eccessivo di lavoro, troppe consegne e scadenze da inseguire e sai che aggiungere un’altra traduzione senza avere il tempo necessario per svolgerla a dovere significa consegnare un lavoro non all’altezza.
  • Sei in vacanza ma controlli comunque le email. Ma se sei in vacanza, non accettare l’incarico! O meglio, puoi proporre una data di consegna che non coincida con il tuo periodo di (meritato) riposo.

In alcuni casi in cui si rifiuta una traduzione a malincuore, consiglio di suggerire una soluzione alternativa: fornire al cliente il contatto di un altro traduttore freelance adatto a svolgere quel particolare lavoro. Il networking serve anche a questo. 😉

E tu, cosa aggiungeresti? Ti è capitato di rifiutare un lavoro per altri motivi oltre a quelli che ho elencato?

Sai spiegare il tuo lavoro a un bambino?

 

Se un bambino ti chiede che lavoro fai, non puoi rispondergli con le stesse parole che useresti con un adulto.

In genere, preparare un elevator pitch è indispensabile per presentarti in modo professionale a un interlocutore con cui avviare eventualmente una collaborazione e che può diventare un tuo cliente.

Ma bisogna anche essere in grado di adattare l’elevator pitch e di renderlo accessibile alla persona che hai di fronte: la fascia d’età, l’istruzione, l’esperienza e il vissuto di ognuno sono talmente diversi che non puoi usare una formula standard per presentarti a chiunque.

Io adatto la mia presentazione a chi ho davanti. A un sessantenne non dico che lavoro come traduttrice freelance, perché la parola freelance potrebbe disorientarlo: dico che lavoro come traduttrice professionista.

Ma se è una bambina che va all’asilo a chiedermi che lavoro faccio, anche la parola traduttrice risulterebbe incomprensibile.

Mi è capitato durante il fine settimana di Pasqua, quando la mia procugina di 5 anni che inizia a essere molto curiosa del mondo mi ha fatto la fatidica domanda.

La procuginetta mi chiede: “Che lavoro fai?”

La mia risposta: “Faccio diventare le parole di un’altra lingua in italiano, come il tuo libro italiano-inglese con le immagini sui colori e gli animali. Mi danno un testo in inglese e lo faccio diventare in italiano, oppure mi danno un testo in francese e faccio la stessa cosa.”

La bimba mi guarda stupefatta: “E come fai?”.

Mi indico la tempia: “Con la testa, perché ho studiato tanto. Quindi leggo quelle parole strane e le riscrivo in italiano.”

Non so se la spiegazione sia stata la migliore che potessi dare alla mia procugina. So che ho reso l’idea perché ha capito per quanto le sia possibile, visto che non ha ancora imparato a leggere e scrivere.

E tu? Se un bambino di 5 anni ti chiedesse che lavoro fai, sapresti spiegarglielo in modo comprensibile per lui? Che cosa gli diresti?