Un torbido chiarore attraverso l’oscurità

“È la vita stessa, è il movimento preso dal vivo”.

Così riportava la prima cronaca cinematografica pubblicata sul quotidiano francese La Poste il 30 dicembre del 1895.

Sono passati 125 anni da quella prima proiezione di una pellicola grazie al cinematografo, inventato dai fratelli Auguste e Louis Lumière. Era La sortie de l’usine Lumière à Lyon (L’uscita dalla fabbrica Lumière a Lione), il primo film mostrato a un pubblico pagante.

Da allora l’evoluzione del cinema è stata inarrestabile: gli effetti speciali introdotti dall’illusionista Georges Méliès, il cinema muto e poi l’avvento del sonoro e del colore, il declino dei film in bianco e nero; la distribuzione mondiale, il doppiaggio, il moltiplicarsi delle sale e delle scuole cinematografiche, i premi e i festival, kolossal, saghe, blockbuster, la legge del box office.

La Settima Arte è diventata un’industria complessa in pochi decenni.

Dal grande schermo siamo passati a schermi sempre più piccoli, a partire dall’home video.

Per citare la diva Norma Desmond di Sunset Boulevard (Viale del tramonto), “è il cinema che è diventato piccolo”.

Così VHS, DVD e Blu-ray hanno consentito di replicare la magia del cinema a casa propria.

Ma diciamo la verità.

Non è mai come al cinema.

Oggi quasi tutte le sale cinematografiche del mondo sono chiuse a causa della pandemia.

In questi mesi la magia si è interrotta e la conseguente crescita esponenziale delle piattaforme di streaming video sembra irrefrenabile.

Dov’è finito l’incanto della Settima Arte?

Svanito. Perché è possibile soltanto nella sala buia, circondati da una platea di sconosciuti.

La narrazione per immagini non può essere troncata dal tasto “pausa”, da una notifica sullo smartphone, da altre attività svolte durante la visione distratta, come avviene quando si guarda un film a casa, trasmesso in tv o su un altro dispositivo.

Proprio come lo spettacolo dal vivo, il cinema è un’àncora nel presente. Quando guardi un film al cinema, condividi un’esperienza irripetibile con decine di persone estranee che in quel preciso momento sono i tuoi compagni di viaggio.

Lo schermo bianco che prende vita nella sala buia non è soltanto una proiezione. Nell’immobilità, guardi e ascolti, mentre il mondo esterno si dissolve e dimentichi dove ti trovi.

Oggi ne abbiamo bisogno più che mai.

In questo periodo oscuro, è una luce irrinunciabile.

Del resto la lumière, la luce, è già nel cognome dei fratelli pionieri.

Quel fascio lucente proietta tutte le nostre speranze, angosce, paure, gioie, ossessioni, desideri.

Lo schermo luminoso diffonde un torbido chiarore attraverso l’oscurità.
Robert Smithson

Esci dalla tua bolla culturale

Ognuno di noi vive in una bolla, che in genere oggi assume i contorni di ciò che accade online.

I social media filtrano la vita, fanno passare alcune cose mentre si tace su altre e si finisce per osservare la vita dell’altro che appare così perfetta e instagrammabile.

Eppure è soltanto una (drammatica) bolla. Ce ne sono altre, come la bolla culturale.

Cos’è la bolla culturale?

È il modo in cui guardi il mondo filtrato dalla tua cultura di appartenenza.

Proprio come sui social i tuoi valori, opinioni e credenze sono consolidati dal feed personalizzato, anche in questo caso ti limiti a ciò che è già parte della tua cultura. Del resto tendi a seguire chi ha un’opinione simile alla tua e tali idee si irrobustiscono perché trovano conferma nelle poche fonti a cui ti affidi ogni giorno.

Ecco il paradosso: internet spalanca una finestra più grande sul mondo, ma in realtà restringe il campo visivo.

“Dobbiamo sempre guardare le cose da angolazioni diverse”

Ricordi L’attimo fuggente?

Il professor Keating diceva agli studenti: “È proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un’altra prospettiva“.

Se guardi le cose da un’angolazione diversa, impari a non cadere nella trappola del giudizio.

Riconoscere e capire i vari punti di vista ti aiuta a comprendere valori, usanze e differenze culturali. Certo, sono diversi dai tuoi, nessuno ti chiede di condividerli, ma non puoi giudicare qualcosa come inferiore o sbagliato semplicemente perché è diverso.

Si tratta di uscire dai confini della tua tribù, una comunità ristretta con cui condividi valori, usanze e convinzioni, e guardare dagli occhi dell’altro.

Mutando prospettiva, ti accorgi che esistono aspettative, bisogni, desideri, esigenze e priorità differenti. E se lavori con clienti, fornitori o partner di altre lingue e culture, tutto questo ti aiuta a raggiungere compromessi e accordi, a risolvere conflitti e a negoziare con maggiore consapevolezza.

Questa empatia è essenziale in un contesto multiculturale, un luogo tutt’altro che frustrante da abitare. Perché ci ricorda la complessità intrinseca di cui siamo fatti e che siamo la somma di tutto ciò che incontriamo sul nostro percorso.

Un percorso che non ha le pareti sottili di una bolla, ma che si perde nella vastità dell’orizzonte.

Dietro le quinte

Uno dei motivi per cui ho sempre preferito la traduzione all’interpretariato è la possibilità di rimanere dietro le quinte: non mi piace sentirmi esposta in prima persona come deve fare un interprete, preferisco la visuale che si ammira nel backstage.

Dietro le quinte di un teatro si svolgono attività indispensabili e invisibili: gli attori si preparano ad andare in scena, i macchinisti e i fonici sistemano eventuali apparecchiature, i costumisti contribuiscono ai cambi d’abito tra una scena e l’altra…

Il pubblico non deve vedere ciò che accade nel retroscena, ossia le attività preparatorie: assisterà allo spettacolo, il momento culminante di un lavoro che dura giorni, mesi, settimane.

Il risultato definitivo, ossia l’opera mostrata al pubblico, è frutto di un lavoro del singolo che confluisce nel lavoro di gruppo.

Per un’azienda, accade la stessa cosa.

Prima di lanciare un nuovo prodotto, il lavoro dietro le quinte è fondamentale. Progettare, realizzare un prototipo e poi il prodotto definitivo è una fase essenziale a cui si aggiungono altre tappe necessarie a presentare il prodotto finito: la scrittura delle descrizioni prodotto, le foto e l’impaginazione del catalogo, la cura del packaging, lo spot per la campagna pubblicitaria, il comunicato stampa e la newsletter che presentano la novità, fino al lancio effettivo, magari in occasione di una fiera.

Quante persone lavorano in questo processo? Tante. E il traduttore professionista è una delle figure che partecipano alla produzione.

Come? Traducendo i contenuti scritti per renderli accessibili a una platea più vasta.

La traduzione è proprio una di quelle attività preparatorie che avvengono dietro il sipario, che il pubblico non può e non deve vedere. La traduzione deve rimanere invisibile agli occhi del pubblico, ossia il lettore, il cliente, il turista, l’utente che sta leggendo un testo tradotto nella sua lingua: sfoglia una brochure turistica che gli presenta una destinazione all’estero dove trascorrere le vacanze, visita il sito web di un hotel per un soggiorno invernale in montagna, legge il comunicato stampa di una campagna promozionale che presenta una nuova collezione di moda.

Cosa c’è sul palco, al centro della scena, sotto i riflettori, davanti al pubblico multilingue che lo guarda? Il tuo prodotto, il tuo sito web, la tua struttura ricettiva, la tua collezione…

Eccolo lì, il traduttore. Dietro il sipario, in silenzio, mentre osserva l’opera in svolgimento che ha contribuito a realizzare.

Le lingue straniere plasmano la tua identità

Sono la persona che sono grazie alle lingue straniere.

Ne parlo spesso con la gemella: quante esperienze non avremmo mai fatto se non sapessimo l’inglese? Quante persone non avremmo mai conosciuto?

E non parlo di lavoro, che ovviamente non farei se non fosse per le lingue. Ma penso alla dimensione più privata e alle passioni che coltiviamo.

Libri, cinema, musica, teatro. I miei interessi sono plasmati dalla conoscenza delle lingue straniere che mi consente di non limitarmi a una fruizione passiva o mediata. Invece posso toccare con mano, respirare e vivere esperienze legate ai miei interessi proprio grazie alle lingue.

Vedere film e serie tv in lingua originale, talvolta con i sottotitoli, può essere una delle esperienza più scontate che è possibile fare grazie alle lingue straniere. Eppure è una cosa molto preziosa, mentre per molti è insolita perché dicono di fare fatica a leggere i sottotitoli guardando contemporaneamente il video. Certo, non sta a me giudicare, però ho sempre ritenuto che basta farci l’abitudine. Un po’ come quando impari a leggere e inizialmente le lettere sono soltanto segni da decifrare, a cui devi dare un suono e che soltanto in un momento successivo ti fanno accedere al significato e, per estensione, alla comprensione del testo. L’abbiamo imparato tutti, no?

Il passo successivo riguarda la lettura. Un libro in lingua originale ha un altro sapore. Benché io sia traduttrice e sostenga che la traduzione letteraria sia uno dei patrimoni assoluti dell’umanità, quando leggo un libro in lingua originale mi emoziono ancora di più. Sono le parole dell’autore, scelte con cura, che sto leggendo. È la sua voce non filtrata da un altro codice linguistico. Le sue pause, le frasi meditate ed elaborate dalla sua mente.

E poi ci sono le persone. Quelle che conosci durante un soggiorno all’estero e che ti stupiscono per la cortesia e gentilezza dei modi. Gli artisti di fama mondiale che ascolti dal vivo e che raccontano aneddoti sulla loro esperienza musicale tra un brano e l’altro.

O come quando un cantante olandese canta (in inglese) per la prima volta in Italia durante un concerto intimo e poi hai il piacere di chiacchierare con lui sulla sua musica e di scoprire una persona molto riservata e dall’umiltà disarmante malgrado il palco sia la sua dimensione.

E il teatro?

Vedere gli attori recitare a teatro non ha paragoni. Certo, ci emozionano anche nei film o nelle serie tv, ma gli attori sul palcoscenico (e non doppiati in italiano!) sono sempre una scoperta.
Alla fine dello spettacolo, è così bello incontrare di persona i tuoi attori preferiti. E vedere quella luce che si accende nei loro occhi mentre li ringrazi per le emozioni che ti danno.

Per non parlare degli incontri inaspettati.

Una sera di settembre 2014, dopo aver visto uno splendido spettacolo teatrale a Londra con le amiche, abbiamo conosciuto uno straordinario attore inglese con quarant’anni di carriera. Da una stretta di mano e una chiacchierata fuori dal teatro ci siamo ritrovate due anni dopo a vederlo nuovamente in un altro spettacolo. E dal piacere di incontrarci ancora una volta è nata una conversazione di un’ora sulle nostre vite, scoprendo persino la nostra comune passione per Albert Camus.

Insomma, se non fosse per la lingua inglese…!

Francesi, tedeschi, americani, inglesi: è solo grazie alla conoscenza delle lingue che nuove persone di altre nazionalità e culture entrano nella tua vita e ti arricchiscono come persona, lasciando ricordi che custodirai per sempre nel cuore.

Spero che tutto questo possa dare una maggiore motivazione a chi si scontra con le difficoltà, i pregiudizi e la frustrazione dell’apprendimento delle lingue. In realtà ne vale la pena, non credi? 😉

Abbiamo il permesso di fallire?

 

“Il successo è l’abilità di passare da un fallimento all’altro senza perdere l’entusiasmo” diceva Winston Churchill.

Ma è così? Questa affermazione è valida sempre e comunque?

Siccome apparteniamo alla cultura occidentale, siamo inclini a condividerla e a lasciarci ispirare da questo principio. Nella vita è inevitabile misurarsi con il fallimento, ma ci sentiamo rincuorati nel pensare che può trattarsi di una fase, un gradino e un ostacolo da superare per raggiungere il traguardo prefissato.

Eppure una lettura di questo tipo non è universalmente motivante. Perché il fallimento è considerato in modo profondamente diverso in base alle culture.

USA e Occidente

La celebrazione di un successo personale può suscitare sentimenti contrastanti nell’altro: ammirazione, invidia, frustrazione, stima. Un’idea latente può restare senza risposta: perché lui sì e io no?

Allora preferiamo di gran lunga quelle storie di successo di cui conosciamo il retroscena amaro, fatto di tentativi falliti, sconfitte, perseveranza e coraggio, fino alla conquista del risultato. Ci riconosciamo in un cammino costellato di errori ma premiato dalla costanza.

Un esempio? J.K. Rowling.

Il manoscritto di Harry Potter e la Pietra Filosofale fu rifiutato ben 12 volte prima di trovare la casa editrice disposta a pubblicarlo vent’anni fa. E poi sappiamo tutti com’è andata. Harry Potter è diventato un successo letterario globale, nonché cinematografico, e senza dubbio quegli editori che hanno rifiutato il manoscritto della Rowling si sono pentiti amaramente.

Negli Stati Uniti e nelle culture occidentali in genere si celebra il percorso individuale con un’autentica ammirazione verso il rischio e l’intraprendenza. Quindi fallire è solo un intralcio temporaneo sulla strada del successo.

Giappone e Paesi Asiatici

Invece secondo la cultura giapponese, il fallimento professionale può danneggiare gravemente la reputazione e suscita un profondo imbarazzo.

Nelle culture asiatiche e arabe è importante salvare la faccia, quindi il fallimento non è tollerato, bensì penalizza il percorso di un individuo. Pertanto è meglio evitare di condividere storie di piccoli insuccessi personali o professionali per cercare un punto d’incontro tangibile – errare è umano, no? – quando si prova a instaurare una relazione professionale con un partner di queste culture.

Che cosa ne pensi?

Io sono d’accordo con Francis Scott Fitzgerald:

Mai confondere una singola sconfitta con una sconfitta definitiva.

Confessione di una gemella

Per un freelance è fondamentale poter contare su qualcuno. Perché fare rete è importante, così come il networking e i contatti professionali. Ma è altrettanto essenziale avere tutt’altro punto di riferimento: una persona che fa un lavoro completamente diverso, ma che ti capisce. Perché c’è un profondo legame di amicizia, oppure perché c’è un legame familiare.

Talvolta si tratta di entrambe le cose.

Per me è lei, la mia sorella gemella.

Siamo cresciute insieme e abbiamo condiviso sempre tutto. E in un tempo in cui la famosa condivisione a portata di clic è ovunque, non dobbiamo dimenticare il valore impareggiabile della condivisione pura, cioè quella che nasce soprattutto nella realtà e nella vita quotidiana.

Stessa classe, stessi insegnanti, stesse amiche e compagni di scuola fino alla terza media. Poi la scuola superiore ha segnato il primo distacco, considerando gli interessi distinti con cui ci affacciavamo al futuro.

Ma il senso del dovere era sempre il medesimo. Lo studio incessante, i voti eccellenti.

E dopo il diploma?

L’università nel mio caso, l’accademia di moda nel suo. Che significava un punto d’incontro: Roma.

Dopo aver lasciato il nido familiare, ci siamo trasferite a cinquecento chilometri da casa. Dal paese di provincia alla capitale. Un bel salto nel vuoto, che abbiamo affrontato tenendoci per mano. Sì, perché eravamo in due. Eravamo noi.

Quei magnifici anni di studio sono volati, ci siamo laureate a pieni voti nello stesso mese e poi i destini si sono separati.

Poco dopo essere tornate in Puglia, il lavoro ha segnato l’ineluttabile distacco. Io traduttrice freelance e libera professionista, lei assistente di modello e confezione nell’accademia di moda dove si è diplomata. Le diverse aspirazioni professionali hanno inevitabilmente comportato il distacco a lungo rimandato.

Ma i nostri percorsi professionali si sono felicemente intersecati pochi anni fa in occasione di un concorso per giovani stilisti che si è svolto a Pechino, quando ho accompagnato lei e due suoi colleghi in veste di assistente linguistica durante la Settimana della Moda in Cina.

Tuttavia, nella nostra vita quotidiana facciamo sempre i conti con quei cinquecento chilometri di distanza. Per due sorelle gemelle sono tanti. E i momenti in cui ci ritroviamo sono sempre i più belli, quelli in cui ci sentiamo finalmente complete.

Condividiamo gli stessi interessi letterari e musicali, per non parlare del cinema e del teatro. E poi l’una può contare sull’altra quando qualcosa non va. Conforto, comprensione, solidarietà, empatia. E quella fiducia e affetto incrollabile, più forte di qualsiasi altra cosa.

Ma non c’è spazio per l’autocommiserazione. Perché l’una incita l’altra ad agire, ci diamo consigli e cerchiamo soluzioni in un incoraggiamento reciproco.

Il segreto di un legame così potente è tutto questo.

Non voglio vivere nel futuro, ma nel presente, e camminare insieme sul sentiero della vita.

Chi non si fida dei freelance?

Finalmente Sherlock è tornato!

Il 2017 è iniziato con l’attesissimo ritorno dalla serie della BBC. Sherlock è tornato anche in Italia, perché è disponibile su Netflix quasi in contemporanea con l’Inghilterra.

Dopo il magnifico The Abominable Bride (La Sposa Abominevole) dello scorso anno, la quarta stagione è iniziata con l’episodio sconvolgente The Six Thatchers.

Niente paura: questo post non contiene spoiler su ciò che accade nella puntata e di cui si chiacchiera ovunque.

Dopo essermi asciugata le lacrime per gli eventi devastanti dell’episodio, mi soffermo a mente fredda su un elemento che, da brava freelance, ha attirato la mia attenzione dal punto di vista professionale più che da fan.

In una scena tra i fratelli Holmes, Sherlock e Mycroft si confrontano su un acronimo da decifrare che ha a che fare con un team di agenti segreti freelance, dei mercenari che diventano killer a seconda degli ingaggi.

“Freelancers are too woolly, too messy. I don't like loose ends.” Mycroft Holmes

“Freelancers are too woolly, too messy. I don’t like loose ends.”
Mycroft Holmes

Mycroft esprime il proprio scetticismo nei confronti di questa categoria e ne prende le distanze, non tanto in quanto assassini, bensì come freelance, che definisce confusi e disorganizzati.

Questo aspetto mi ha fatto sorridere, perché ho riflettuto sulla diffidenza diffusa nei confronti di questa figura professionale: un libero professionista che si tende a considerare con circospezione, un misto di confusione e apprensione legato alla difficoltà di comprendere la professione esercitata e al suo status di lavoratore indipendente.

Nulla di tutto questo riguarda Sherlock, beninteso, bensì la nostra realtà, in cui il freelance è generalmente considerato un lavoratore atipico.

È facile rendersi conto di una cosa: la fiducia è alla base di tutto. Nulla può andare a buon fine se non c’è fiducia tra il freelance e il cliente che gli commissiona un lavoro.

Di recente una cliente mi ha scritto per gli auguri di fine anno e fra le sue bellissime parole c’era anche questo: “So che posso contare su di te e la tua disponibilità è per me davvero rassicurante”.

Fidarsi del cliente è tanto indispensabile per il freelance quanto il contrario. Sapere di lavorare bene insieme, essere certo della qualità del lavoro svolto dal freelance, non dubitare che il saldo della fattura arriverà: sono soltanto alcuni aspetti che caratterizzano un rapporto di fiducia reciproca.

Naturalmente gli imprevisti succedono, ma una cosa è certa: non bisogna chiudere il canale di comunicazione. Occorre confrontarsi sempre e comunque, perché una proficua collaborazione va a vantaggio di entrambe le parti.

Come fallire verso il successo

Te lo dico subito. Il post contiene SPOILER sull’episodio 6×03 di Game of Thrones (Il Trono di Spade). Quindi se non guardi la serie o non hai ancora visto questa puntata, è meglio se interrompi la lettura.

Io ti ho avvertito, eh?
Lascio uno SPOILER ALERT grande come una casa se vuoi fuggire a gambe levate, altrimenti continua pure la lettura.

fallire

(Photo credits: Movieplayer)

Nell’episodio “Oathbreaker” abbiamo finalmente scoperto che, a dispetto del finale della quinta stagione, Jon Snow è tornato in vita. Premettendo l’esultanza generale fra gli spettatori di tutto il mondo, vorrei soffermarmi sullo scambio di battute fra il redivivo Jon e Davos che, confuso come tutti, non nasconde però la sua soddisfazione nel vedere che Jon è tornato a tutti gli effetti.

Jon è sconvolto e non capisce perché è tornato in vita dopo essere stato tradito e ucciso per aver fatto ciò che riteneva giusto.

Davos: I don’t know. Maybe we’ll never know. What does it matter? You go on. You fight for as long as you can. You clean up as much of the shit as you can.
Jon: I don’t know how to do that. I thought I did, but… I failed.
Davos: Good. Now go fail again.

Ebbene, quel “Vai e fallisci ancora” è il punto dove voglio arrivare.

Nella vita ci scontriamo ogni giorno con le difficoltà. Commetti un errore, vieni giudicato, talvolta tradito. Non sai come riprenderti da una delusione. E quando affronti un periodo in cui va tutto storto, pensi che non ne uscirai mai.
Succede sul piano personale e su quello professionale. Qualcuno ti ferisce e ti senti pugnalato.

La spirale negativa che ti avvolge ti fa credere che continuerai a non essere all’altezza di qualcosa o di qualcuno e che alla fine fallirai.

Il fallimento è associato inevitabilmente a una situazione irrecuperabile. Allora finisci per rimanere fermo in preda all’autocommiserazione. Ma poiché la vita ci insegna che piangersi addosso non serve a niente, cerca di capire questo: bisogna agire.

Certo, non sarai mai sicuro che ciò che farai ti avvicinerà al risultato che vuoi raggiungere, ma devi provarci.

Mi piace leggere il percorso di Jon Snow come una metafora della vita.

Del resto a che serve lamentarsi? Cosa c’è di costruttivo?

Sappiamo bene che è inevitabile imbattersi nel fallimento. Ma rimanere fermi non porta a niente.
La voglia di riuscirci non deve mai venir meno, soprattutto quando ci viene data una seconda occasione. Il successo, inteso proprio come esito positivo di un’impresa, non si raggiunge restando immobili, bensì commettendo errori senza mai smarrire il desiderio di conquista del risultato.

Quindi, come direbbe Davos, “Vai e fallisci ancora”.

5 lezioni di vita tratte da Star Wars

A meno che tu non viva in una “galassia lontana, lontana”, sai bene che Star Wars è tornato finalmente sul grande schermo con una nuova trilogia iniziata con l’Episodio VII, Star Wars – Il Risveglio della Forza.
La saga più amata di tutti i tempi non ha bisogno di presentazioni, merita solo di essere vista e amata in modo del tutto personale: battaglie stellari, personaggi memorabili e ormai classici, creature aliene e simpatici droidi, storici colpi di scena, i misteri della Forza e il fascino del Lato Oscuro. L’universo di Star Wars trascende generazioni, culture, generi e tradizioni.

Tutti abbiamo sognato di impugnare una Spada Laser, ma ognuno di noi è ammaliato da alcuni dettagli della saga in modo del tutto personale. Un esempio? Un professionista delle lingue non può non amare C-3PO, il droide che conosce oltre sei milioni di forme di comunicazione, e provare una certa empatia quando fa da interprete fra culture diverse.

Il potere di Star Wars è proprio questo: suscita empatia, ci fa immedesimare in personaggi e situazioni fantastiche. È cinema allo stato puro.
Eppure non ci emozioniamo soltanto grazie al modo in cui la saga ci permette di abbandonarci alla fantasia.

Star Wars è soprattutto una fonte di ispirazione ricca di lezioni di vita. La sua grande eredità si rivela nei suoi insegnamenti profondi che possiamo mettere in pratica nella vita quotidiana, come l’importanza dell’umiltà, dell’armonia e dell’equilibrio delle cose, l’abbandono di preconcetti a favore dell’apertura mentale, la capacità di adattarsi alle circostanze.

L’universo di Star Wars offre spunti di riflessione per guardare il mondo e scrutare dentro di noi.
Anche se le scene significative sono tante, io ho scelto questi momenti, che riassumo in citazioni tratte dai film e in una scena sublime priva di dialoghi.
  1. “La paura è la via per il Lato Oscuro. La paura conduce all’ira, l’ira all’odio, l’odio conduce alla sofferenza.”
    Yoda
    Hai visto cosa è successo ad Anakin Skywalker. La sua caduta è cominciata dalla paura e, diventando Darth Vader, il Lato Oscuro ha consumato la sua esistenza.
    Ammetterlo non è un segno di debolezza: la paura è una presenza costante nelle nostre vite, esercita una certa influenza nel modo di pensare e di agire, condiziona le nostre scelte.
    Eppure la sfida è questa: la paura non deve esercitare il suo dominio. Devi imparare a non lasciarti consumare dalla paura. La sua ombra non cederà mai, ma deve restare tale. Altrimenti finirà per logorare la tua vita, lasciandoti in preda all’angoscia perenne e a emozioni distruttive.

  2. “Molte delle verità che affermiamo dipendono spesso dal nostro punto di vista.”

    Obi-Wan Kenobi
    Nel momento in cui Luke Skywalker scopre la vera identità di suo padre, il mondo gli crolla addosso. Prima della fatale rivelazione, si era fidato delle parole di Obi-Wan e aveva idealizzato la figura paterna.
    Impara a riconoscere che non esistono verità assolute, ma opinioni, giudizi, interpretazioni della realtà. Tutto dipende dalla prospettiva da cui guardiamo le cose. Quindi non illuderti di trovare certezze o soluzioni definitive a un problema, perché resterai deluso quando ti scontrerai con la realtà. E non limitarti a una sola prospettiva, prova a guardare il mondo da punti di vista diversi.

  3. “No! Provare no. Fare! O non fare. Non c’è provare!”

    Yoda
    Quando stai per affrontare qualcosa, tendi a pensare: “Ci proverò”. Ma il Maestro Yoda insegna a rivalutare questo atteggiamento mentale che induce a procedere per tentativi sperando di riuscire nell’intento.
    Perché? Si tratta di una dimostrazione di insicurezza, soprattutto quando ti trovi di fronte a una scelta. Esiti a muovere un passo in una direzione e quella titubanza condiziona il risultato.
    Allora decidi di fare quel passo oppure non farlo. Prendi atto delle tue scelte, mettiti in discussione. Non nasconderti dietro una scusa, ma decidi e agisci. Se vuoi raggiungere un obiettivo, l’indecisione non ti sarà d’aiuto. Saranno l’impegno, la risolutezza e l’azione a farti avvicinare al traguardo.

  4. Luke
    : “Non posso crederci!”

    Yoda: “Ecco perché hai fallito.”
    Durante l’addestramento per diventare uno Jedi, Luke impara da Yoda che un problema è insuperabile perché lo vediamo tale nella nostra mente.
    Esistono limiti che non puoi superare e spesso sei tu il primo a costruire gli ostacoli che ti sembrano insormontabili. Ma la fiducia in te stesso è il primo passo per andare oltre le tue aspettative.
    Se non credi in ciò che fai, chi lo farà? Credi in te stesso, abbi fiducia nelle tue capacità e potrai realizzare qualcosa che non pensavi fossi in grado di fare.

  5. E poi c’è questa scena.

Luke osserva i due soli che tramontano sul pianeta Tatooine. Insoddisfatto del suo presente, guarda lontano, sospira e contempla i due astri al tramonto, uno chiaro e l’altro scuro (i due lati della Forza?). Luke scruta l’orizzonte e conquista una nuova fiducia. La fiducia nel futuro.

Non è solo una delle scene più iconiche della storia del cinema, è anche un momento magistrale in cui ognuno di noi può immedesimarsi. Quante volte ti senti abbattuto, frustrato e desideri fuggire dal presente? La proiezione di questi desideri e del conflitto interiore è in quella scena. La brama di andare oltre, di scoprire cosa ti aspetta, di esplorare il tuo orizzonte.
Rifletti su quell’istante in cui desideri voltare pagina e veder tramontare un brutto momento della tua vita. E poi pensa a un nuovo inizio, indaga le tue aspettative sul futuro e continua per la tua strada con fiducia e con una nuova speranza.
E che la Forza sia con te!

Hai paura? È il momento giusto di saltare!

Il momento di saltare è sempre e solo uno: quando abbiamo una gran paura.
Che si tratti di una scelta della vita privata o di una decisione che riguarda la professione, la paura è il mezzo per catalizzare la motivazione.

Potrebbe sembrare un paradosso, visto che quando abbiamo paura ci ritroviamo in uno stato di immobilità che ci induce a rimanere dove siamo, a non muovere un passo oltre, come se fossimo sull’orlo di un precipizio. E allora come si fa ad andare avanti, se restiamo fermi?

a most violent yearDi recente ho visto 1981: Indagine a New York (A Most Violent Year), il film di J.C. Chandor con due strepitose interpretazioni di Oscar Isaac e Jessica Chastain.

Tra le varie cose che ho apprezzato del film, c’erano diversi spunti e strategie imprenditoriali che possono essere di ispirazione. Perché in un contesto dominato dalla corruzione e disseminato di vie facili da seguire solo a patto di compromettere l’onestà, ho intravisto uno spiraglio: il modo giusto per affrontare le cose è agire con integrità e correttezza. Sta a noi valutare, decidere e agire di conseguenza. Anche perché alla fine di tutto finisci per imbatterti nella tua coscienza.

Così il salto nel vuoto è un rischio, un po’ come quella volta in cui hai imparato a tuffarti da uno scoglio molto alto. Ricordi il modo in cui tremavi all’idea di affrontare quella profondità che ti sembrava un abisso? Avevi paura dell’ignoto e quello era il momento giusto di saltare.

La paura non deve paralizzarti, devi cercare di razionalizzare ciò che stai provando e buttarti. Solo così non rimarrai al punto in cui ti trovi, ma potrai proseguire oltre trovando il giusto equilibrio fra prudenza, coraggio e un po’ di avventatezza.

“When it feels scary to jump, that is exactly when you jump. Otherwise you end up staying in the same place your whole life.”
A Most Violent Year