Il lavoro da remoto non è lavoro di serie B

Da quando il lavoro da remoto (il cosiddetto smart working) si è diffuso in tempi di pandemia, esistono due nuove categorie di lavoratori oltre a chi lavorava già secondo queste modalità:

  1. Quelli che “Ma io non ce la faccio, non fa per me”
  2. Quelli che “Preferisco continuare così invece di tornare in ufficio”.

Non intendo i lavoratori autonomi e i freelance che lavoravano da casa anche prima della pandemia, bensì i dipendenti che hanno scoperto il lavoro da remoto.

Per quanto il lavoro da remoto abbia sia benefici sia limiti, alcuni dipendenti oggi preferiscono questa modalità e non desiderano tornare fisicamente in azienda.

La motivazione principale alla base di questa scelta riguarda il risparmio di tempo e di costi:

  • Niente tragitto casa-lavoro in auto o sui mezzi pubblici, risparmiando ore all’andata e al ritorno
  • Niente pausa pranzo al bar o al ristorante
  • Nessun trasferimento nella città dove ha sede l’azienda, dove magari l’affitto e il costo della vita sono più alti rispetto alla propria città di origine o in cui ci si è stabiliti.

In effetti, bisogna tenere conto dell’indotto che beneficia di quest’ultimo punto: agenzie immobiliari, ristorazione e trasporti fanno grandi profitti grazie ai dipendenti che riempiono gli uffici cittadini.

Però bisogna fare i conti con il proprio datore di lavoro, secondo cui il lavoro da remoto è lavoro di serie B.

In molti casi, il titolare di un’azienda richiama subito i dipendenti in sede appena possibile. Alla base di questa esigenza possono esserci una mania di controllo o una scarsa fiducia nell’autodisciplina degli impiegati, che vengono costretti a tornare in ufficio anche se potrebbero continuare a lavorare da remoto perché il loro tipo di lavoro lo permette.

Così alcuni giungono a una scelta drastica.

Come conferma Bloomberg, molti dipendenti stanno rinunciando al posto di lavoro quando vengono costretti dal capo a tornare in ufficio.

Questo fenomeno riguarda soprattutto le generazioni più giovani, già abituate alla flessibilità sul lavoro e che non hanno mai conosciuto un mondo del lavoro senza precarietà in cui domina il posto fisso, come accadeva pochi decenni fa.

I datori di lavoro ritengono che la presenza dei dipendenti in azienda sia fondamentale per preservare la cultura aziendale, tanto che un sondaggio rivela che debbano lavorare in presenza almeno tre giorni alla settimana.

Forse sarebbe meglio interrogarsi su questo: in cosa consiste la cultura aziendale?

La cultura aziendale comprende la visione e gli obiettivi dell’azienda, ma anche i comportamenti e i valori che accomunano tutti i dipendenti.

La soddisfazione e la produttività di un lavoratore non si misurano soltanto nello spazio fisico in cui lavora. Se l’organizzazione stessa è traballante, se il dipendente parla male dell’azienda per cui lavora, vuol dire che c’è qualcosa di fondo che non va.

Secondo te, il coinvolgimento e la motivazione di un dipendente sono possibili soltanto se lavora in presenza?

I benefici e i limiti del lavoro da remoto

Una premessa importante: non parlo di smart working, un anglicismo improprio e assolutamente inutile utilizzato da media e istituzioni per darsi un tono. Lo spiega benissimo Licia Corbolante, precisando che occorre parlare di lavoro da remoto o lavoro a distanza.

Spesso di “smart” non c’è un bel niente, dato che chi è costretto a lavorare da casa per via dell’emergenza sanitaria deve condividere postazioni, strumenti e connessione internet con partner, figli, genitori, e in alcuni casi non c’è traccia né di processi migliorati né di tecnologie che rendono il lavoro più funzionale.

Parliamo quindi di lavoro da remoto.

C’era una volta il lavoro da casa

Fino a poco tempo fa, l’espressione lavoro da casa definiva l’attività professionale tipica del freelance, creatura mitologica agli occhi della maggioranza che strabuzzava gli occhi e formulava di solito una o più di queste frasi: “Lavori da casa? Beato te che puoi alzarti quando vuoi / che puoi lavorare quando vuoi / che non hai orari da rispettare / che puoi gestire come vuoi i tempi del lavoro e della vita privata”.

Poi qualcuno osava anche domandare: “Quando cerchi un vero lavoro?”.

Tutto cambia “ai tempi del”

Oggi la consapevolezza nei confronti del lavoro da remoto è aumentata per forza di cose. Secondo le stime, sono 8 milioni gli italiani che lavorano da casa. Chi non era abituato a questa modalità di lavoro e ogni giorno si recava in azienda o in ufficio sta facendo una fatica immensa.

Probabilmente è aumentata la produttività, perché l’orientamento al risultato e la flessibilità sono i presupposti del lavoro da remoto. Ma di pari passo aumentano la frustrazione e l’impossibilità di separare il lavoro dalla vita privata: tra gestione della casa, della famiglia, degli spazi da condividere, delle esigenze dei conviventi, nonché le commissioni necessarie fuori casa, per molti il lavoro da remoto è diventato un incubo.

C’è chi rimpiange il percorso casa-lavoro, chi rischia di impazzire per le continue interruzioni e gli eccessivi stimoli che lo distraggono dal lavoro confinato nelle mura domestiche. E chi si è finalmente ricreduto su tutte le frasi fatte e le percezioni errate di cui sopra perché, in molti casi, lavorare da remoto significa lavorare di più.

Parola d’ordine: autodisciplina

Le capacità di organizzazione sono essenziali per lavorare da remoto in modo produttivo.

Nel caso del rapporto di lavoro a distanza fra dipendente e datore di lavoro, la fiducia reciproca è consolidata dal conseguimento dei risultati.

Il primo non sente costantemente gli occhi addosso del capo e non deve far vedere che sta lavorando: sta a lui portare a termine il progetto e raggiungere gli obiettivi prefissati, dimostrando proattività e coinvolgimento e sviluppando un forte senso di responsabilità.

Il secondo risparmia sui costi di gestione degli spazi fisici e osserva una riduzione del tasso di assenteismo.

E poi c’è il tempo risparmiato rispetto agli spostamenti del tragitto casa-lavoro e la possibilità di evitare l’imbottigliamento nel traffico.

Attenzione alla reperibilità continua

Con l’aumento delle videoconferenze e degli scambi interattivi a distanza fra collaboratori, il tempo dedicato al lavoro potrebbe paradossalmente aumentare.

Tuttavia, è necessario fissare dei limiti perché stare a casa non significa essere reperibili sempre e comunque: rispondere alle email, confrontarsi in chat, lavorare a un progetto senza sosta…

Per non compromettere ulteriormente l’equilibrio, è meglio stabilire orari di lavoro e rispettarli. Se possibile, cerchiamo di riservare almeno la domenica al riposo, benché fra le mura domestiche, sognando di poter uscire in sicurezza e quanto prima a riveder le stelle.

I miei post sulla vita da freelance

Nel mese di ottobre si celebra la European Freelancers Week, la Settimana Europea dei Freelance. E mentre in molte città di tutta Europa e online si svolgono dibattiti, incontri, seminari e conferenze su questo mondo professionale, ho pensato di condividere in questa pagina tutti i post che ho scritto in questi anni di blogging incentrati sulla categoria dei freelance.

Non si tratta dei post che riguardano strettamente la mia vita professionale di traduttrice freelance, bensì degli articoli relativi alla vita da freelance in generale.

Magari li hai letti già tutti in questi mesi, oppure qualcuno ti è sfuggito. Allora eccoli qui.

Se hai bisogno di motivazione, informazione, consigli, ispirazione o intrattenimento, spero che troverai ciò che cerchi. 😉

E se ti va, puoi lasciare un commento, condividere i post e raccontarmi la tua esperienza sulla vita da freelance. Perché la condivisione e il confronto arricchiscono ogni freelance.

Buona lettura!

I 2 requisiti fondamentali del lavoro da casa

Possono sembrare due aspetti scontati del lavoro da casa, invece si tratta di sfide spesso sottovalutate. Quali sono i due requisiti fondamentali del freelance che lavora da casa?

È bene ricordarli non solo per il lavoratore che si confronta ogni giorno con questa realtà vivendola in prima persona, ma anche per quelli che sono appena consapevoli dell’esistenza del lavoro da casa.

1. Evitare le distrazioni.
La produttività si basa su questo, dato che le distrazioni sono molteplici: dal partner o genitore o coinquilino che ti interrompe mentre stai lavorando al campanello o al telefono che squilla.

Metti subito in chiaro che non vuoi essere disturbato. Tieni la porta chiusa o di’ chiaramente che non devi essere importunato dalle ore X alle ore Y. Ignora il telefono.
E quindi anche il cellulare. Rispondi alle chiamate di lavoro, ma silenzia tutte le notifiche (social network, applicazioni come WhatsApp…) che interrompono il flusso di lavoro e frammentano la concentrazione.

Non perdere tempo sui social, ignora Facebook, Twitter e Instagram mentre lavori. Puoi recuperare tutto durante i momenti di pausa. E non è la fine del mondo.

2. Imparare a gestire il lavoro solitario.
Innanzitutto dovresti essere in grado di lavorare da solo. Come freelance non devi soltanto essere produttivo, ma anche organizzare il tuo lavoro, gestire le scadenze e il lato amministrativo della tua professione.

A me piace lavorare in solitudine perché riesco a concentrarmi meglio. E come traduttrice preferisco il silenzio mentre lavoro.

Se però non sopporti la solitudine e hai bisogno di interagire – come se fossi in un ufficio con dei colleghi in un contesto di lavoro dipendente – puoi provare il coworking. Magari non incontrerai persone che fanno il tuo stesso lavoro, ma altri professionisti con cui fare rete e, perché no, avviare una collaborazione.

Come vedi, si tratta di requisiti essenziali del lavoro da casa. Eppure sono certa che non tutti siamo in grado di rispettarli fino in fondo.
Per te è così?