Si può tradurre un testo che contrasta con i propri valori?

Il traduttore professionista è un lavoratore autonomo che talvolta può misurarsi con testi dal contenuto scomodo.
Quando si traduce, occorre mettere da parte la propria personalità per essere al servizio del testo e usare il tono di voce, la terminologia e lo stile richiesti dalla committenza.

Però a volte si può lavorare a un progetto che contrasta con i propri valori.

Ad esempio, qualche mese fa ho tradotto un breve saggio di un artista che compie atti estremi e che divide l’opinione pubblica con la sua arte che sconfina con la politica. Spesso ricorre all’autolesionismo rivendicando il diritto alla libertà di espressione e denunciando gli abusi politici.

Prima di essere una traduttrice, sono una persona, quindi non nascondo che quel progetto di traduzione mi ha scosso. Posso non condividere le modalità, gli strumenti e le scelte dell’artista, però ne comprendo la visione, in particolare il suo rifiuto del conformismo e dell’ipocrisia di massa.
Ed è questo che mi ha convinto ad accettare il progetto e a tradurre il suo saggio in italiano.

Però in quell’occasione ho riflettuto sul limite che c’è tra il proprio lavoro e i propri valori. Talvolta questi ultimi sono l’esatto opposto del contenuto di un progetto di lavoro. In questi casi il rifiuto di un incarico è inevitabile.

Ad esempio, un traduttore vegetariano o vegano non accetterà di tradurre un disciplinare sul processo produttivo della carne bovina.

Come libera professionista, sono libera di accettare o rifiutare progetti di traduzione per vari motivi, i più comuni dei quali sono i seguenti. In genere rifiuto un incarico di traduzione se:

  • il settore non è di mia competenza
  • le lingue di lavoro sono diverse dalle mie combinazioni linguistiche
  • le tariffe o il budget del cliente sono al di sotto dei miei standard
  • la mia agenda è già piena di altri progetti e non sono disponibile
  • nutro diffidenza nei confronti di un potenziale cliente

Mi piace sottolineare che la parola lavori è l’anagramma della parola valori, quindi c’è una sorta di commistione tra le due cose, che a mio parere dovrebbero convivere il più possibile.

So che non accetterò mai di tradurre contenuti che promuovono la misoginia, il razzismo, la pornografia, il gioco d’azzardo, non solo perché tutto ciò contrasta con il mio sistema di valori, ma anche perché tradurre significa trascorrere delle ore su un testo che diventa parte del proprio bagaglio personale e per un altro motivo essenziale: la traduzione contribuisce alla diffusione di un messaggio, di valori e culture.

Tu lavoreresti a un progetto che contrasta con i tuoi valori?

Una traduttrice introversa

Sai che il 2 gennaio è la Giornata Mondiale degli Introversi?

Come traduttrice professionista e persona introversa, ho sempre ritenuto che la mia natura introspettiva fosse un aspetto rilevante della mia predilezione per la traduzione.

Sono portata per la riflessione, quindi soppeso con cura le parole quando traduco, mentre un interprete deve avere la prontezza di trovare la soluzione migliore in una manciata di secondi. La cura è un requisito imprescindibile sia per il traduttore che per l’interprete, però il primo ha il privilegio del tempo maggiore a sua disposizione.

Non è detto che il binomio traduttore introverso sia una regola, però nel mio caso è la realtà.

Preferisco stare dietro le quinte con il mio lavoro di traduttrice, a differenza dell’interprete che è sotto i riflettori.
Prediligo la mia scrivania a un lavoro d’ufficio circondata da altre persone, chiacchiericci, interruzioni e telefoni che squillano.

Le interruzioni non mancano anche quando si lavora da casa – così come gli imprevisti – però con la libera professione e la vita da freelance sono io al comando, sono io a dovermi motivare e agire sempre con autodisciplina.

Mi piace lavorare da sola e in autonomia, in un ambiente tranquillo. Macino parole al computer, interagisco con i clienti per lo più tramite email, talvolta al telefono o in videoriunione.

Naturalmente apprezzo il contatto umano perché, come diceva Aristotele, l’uomo è un animale sociale. E, quando ne ho la possibilità, vado a trovare i miei clienti.

Del resto, non disdegno situazioni aggreganti né la socialità, però ammetto di essere molto selettiva. Invece di circondarmi di persone con cui parlare del nulla, preferisco la compagnia di persone con cui avere conversazioni profonde. Mi piace la leggerezza, non la superficialità. La qualità, non la quantità.

Mi sento una persona più ricca dopo un’esperienza o una conversazione piacevole che mi lascia qualcosa.

Ammetto che alcuni aspetti della mia riservatezza si presentano come limiti sul piano personale e professionale, come parlare in pubblico e uscire dalla zona di comfort.

So bene che queste parole non corrispondono necessariamente al tuo modo di fare e di essere o possono persino suscitare la tua avversione. Ma è proprio questo il bello. La nostra diversità.

Queste mie preferenze rispecchiano la mia natura introversa. Bisogna però evitare di cadere nella trappola comune che consiste nel confondere introversione e timidezza.

In effetti, non sono timida. Se non avessi lo spirito d’iniziativa, non avrei mai scelto di lavorare in proprio come traduttrice freelance. Perché occorre rimboccarsi le maniche, ricercare, contattare, proporre e negoziare in questa professione, e non lasciare che le cose accadano crogiolandosi nell’attesa. Si tratta di agire, non di subire.

La perseveranza è per me imprescindibile, mentre non so cosa sia la procrastinazione.
L’intraprendenza può andare di pari passo con l’introversione. Come traduttrice introversa, non sono espansiva, però sono intraprendente.

Tu sei una persona introversa o estroversa? Senti di poter esprimere questo aspetto nel tuo lavoro?

Perché non dico chi sono i miei clienti

La riservatezza è un requisito imprescindibile del traduttore professionista.
Veniamo a conoscenza di dati sensibili, anteprime, segreti industriali, pratiche commerciali e informazioni confidenziali da trasferire in un’altra lingua e in un’altra cultura.

Spesso ciò implica la firma di veri e propri accordi di riservatezza e non divulgazione.
Ma anche in assenza di tali accordi, non è ammissibile sbandierare ai quattro venti i nomi dei propri clienti come principio generale, e a maggior ragione quando il lavoro che facciamo richiede un certo riserbo secondo la deontologia del settore.

Un’eccezione che fa rima con pubblicazione

Il caso dei traduttori letterari è diverso. Il loro nome viene pubblicato all’interno del libro, spesso anche in copertina. In tal caso, i riflettori sono puntati anche sul traduttore, il cui nome è di dominio pubblico. Quindi il committente della traduzione è palese e non resta un mistero.

Per chi traduce in ambito tecnico, scientifico o creativo, quindi in qualsiasi altro ambito che non sia quello editoriale, il discorso è diverso. Ed è il punto che mi preme sottolineare con questo post.

Per chi traduco?

Nella home del mio sito c’è la sezione “Dicono di me”, dove ho pubblicato i pareri di alcuni miei clienti sulla nostra collaborazione, ovviamente con il loro consenso.

Mi piacerebbe aggiungerne altri, però mi sento sempre un tantino in soggezione, come se la richiesta di un feedback da pubblicare recasse un disturbo ai miei clienti.
Sicuramente è un mio limite, ne prendo atto, e devo lavorarci su.

Però talvolta riscontro un atteggiamento opposto da parte di altri traduttori.
Sui siti web di molti traduttori è possibile trovare una sfilza di loghi alla voce “I miei clienti”. Mi auguro che i traduttori in questione abbiano il permesso di ciascun cliente per fare ciò.

Lungi da me pensare male, però stento a credere che un traduttore abbia ottenuto il consenso esplicito di un grande e famoso brand internazionale per la pubblicazione del logo sul suo sito.
Magari è così, tanto meglio! 🙂
Tuttavia, rimango un po’ scettica.

Del resto, un odontoiatra che cura pazienti di fascia alta direbbe a chicchessia i nomi dei suoi pazienti vip?

Per i nostri clienti, noi professionisti della lingua siamo fornitori come tutti gli altri.

Una panoramica dei miei clienti

Le agenzie di traduzione sono clienti molto importanti per me. Collaboro principalmente con agenzie francesi e inglesi, e mi trovo molto bene.

Tramite oppure oltre alle agenzie di traduzione, traduco per produttori di cosmetici, case di moda, uffici del turismo, make-up artist, agenzie di marketing, start-up del benessere, maison di orologeria, gruppi di soluzioni abitative, resort, società di sottotitolazione e localizzazione di audiovisivi, catene di campeggi e villaggi turistici, marche di abbigliamento, comprensori sciistici, gruppi del lusso.

Non posso rivelare nomi, cognomi o ragioni sociali, né intendo farlo.
Però ammetto che a volte la tentazione c’è, soprattutto quando mi capita di vedere in televisione lo spot italiano di una campagna pubblicitaria a cui ho lavorato, che presenta un mio cliente o un suo prodotto, e che mi riempie di orgoglio.
Sarebbe bello condividere la gloria con chi mi circonda. Invece mi limito a sorridere fra me e me.

D’altronde, Terenzio giustamente scriveva:

Homo sum, humani nihil a me alienum puto.

Lunga vita al blog

Ho pubblicato il primo post del mio blog esattamente sei anni fa, poco dopo aver aperto la Partita Iva.

Su questo blog ci sono 150 articoli.

In sei anni è cambiata la frequenza di pubblicazione. All’inizio pubblicavo un articolo alla settimana, poi due al mese. Da due anni scrivo un articolo al mese.

Del resto il flusso di lavoro è diventato più intenso col passare del tempo, quindi ho dovuto aumentare l’intervallo tra un post e l’altro del mio blog per questioni organizzative.

Ma questo spazio resta fondamentale per la mia attività.

C’è chi comincia a fare blogging con entusiasmo, poi smarrisce motivazione e costanza e ci si ritrova con blog fermi da mesi o da anni senza neppure un ultimo post che comunica al lettore: “scusa, non ho più tempo di scrivere sul blog”.

Poi magari si infarcisce il profilo Instagram di didascalie chilometriche un giorno sì e l’altro pure.

Perché non dire chiaramente come stanno le cose?
Perché non dire che non c’è più interesse a curare il blog?

La scusa del “non ho tempo”

Spesso si dice di non avere tempo per scrivere sul blog, ma poi ci si perde in decine di Storie al giorno su Instagram.

Il motivo? Si dà la precedenza ai contenuti brevi ed estemporanei: poco investimento intellettivo, minori sforzi riflessivi.

Quando curi un blog e vuoi pubblicare un nuovo articolo, ti metti seduto con l’intenzione di scrivere la bozza del post, eliminando le distrazioni e senza cedere alle notifiche che interrompono il flusso di scrittura e fanno perdere la concentrazione.

Ovviamente ci vuole tempo. Tempo che oggi frammentiamo di continuo con uno stillicidio di interruzioni, soprattutto tecnologiche.

Il cervello si abitua a saltare da un’attività all’altra, a passare di continuo fra vari stimoli, tanto che persino vedere un film al cinema senza neppure lo schermo del cellulare di uno spettatore che si illumina all’improvviso è un lontano ricordo – e c’è chi osa fare altrettanto anche a teatro…

La soglia dell’attenzione è drasticamente ridotta.

Curare un blog richiede una serie di attività: la scrittura dell’articolo, la revisione, la scelta dell’immagine correlata, delle categorie e dei tag, i link interni ed esterni, la pubblicazione, la condivisione dell’articolo sui canali social e la newsletter.

Non è detto che debba fare tutto questo in un giorno: le attività possono essere spalmate in momenti diversi.

Sì, ma ci guadagni?

Non ho un guadagno diretto. Non sono pagata per scrivere sul mio blog e in passato ho rifiutato ambigue proposte di affiliazione.

Però il blog mi consente di fare inbound marketing, ossia di farmi leggere da persone potenzialmente interessate ai miei servizi, consolidando la mia autorevolezza nel settore.

E guarda caso, c’è chi mi sceglie come traduttrice anche per il mio blog, come mi hanno detto chiaro e tondo tre clienti.

Fare promesse e mantenerle è un bel modo per costruire un brand.
Seth Godin

Siamo sempre lì. La parola chiave è strategia, intesa più come metodo che come tattica.

Puoi decidere di avere o non avere un blog a seconda della strategia da adottare. Magari preferisci concentrarti sui video o sui podcast e hai tutto il diritto di farlo.

Si tratta di scelte. Ma che siano consapevoli, senza nascondersi dietro scuse traballanti o atti incoerenti.

“Quale sarà il tuo verso?”

Retrospettiva introspettiva su questo decennio

Con l’arrivo del 2020 e di un nuovo decennio, ho deciso di scrivere a me stessa, alla Raffaella del 2009 appena diplomata che cercava di realizzare il suo sogno di lavorare come traduttrice professionista.

Cara Raffaella

Il decennio 2009-2019 darà la direzione fondamentale alla tua vita.

Lascerai la realtà di provincia e ti trasferirai con la tua gemella nella capitale, dove frequenterai l’università e conseguirai la laurea con lode, per poi tornare nella tua terra d’origine. Insieme a lei anche questa volta, ma poi soffrirai la mancanza della tua gemella che tornerà nuovamente a Roma, da sola, per lavoro e non per studio.

Tu invece aprirai la Partita Iva e lavorerai da casa. All’inizio per gli altri il tuo non sarà un vero lavoro, diranno che lavoricchi senza sapere quanto studierai e ti impegnerai per raggiungere il tuo obiettivo.

Molte persone a te vicine non capiranno, non crederanno nel tuo progetto di lavoro, tenteranno di portarti su altre strade, più comuni e rassicuranti. Si chiederanno perché hai studiato per tradurre nella tua madrelingua, ma prima con esasperazione e poi con pazienza riuscirai a spiegarti.

Ripeterai le stesse cose tante volte e chiarirai cosa significa lavorare come freelance.

Ti affliggerai per le risposte che non arriveranno, per i preventivi non accettati, per i periodi di magra che inizialmente supereranno quelli di grassa.

Affiancherai altre esperienze alla traduzione per guadagnare di più, finché con perseveranza lavorerai a tempo pieno come traduttrice freelance.

Avrai quasi le lacrime agli occhi al primo versamento di imposte e contributi perché l’importo ti sembrerà altissimo, anche se anno dopo anno lo supererai grazie al fatturato in crescita.

Commetterai errori, busserai a tante porte, letteralmente e metaforicamente, conoscerai professionisti con cui ti confronterai fino in fondo, con altri sarà soltanto uno scambio superficiale.

Non mancheranno esperienze uniche, come la settimana a Pechino come interprete per un evento di moda, che ricorderai sempre con letizia e poi con tanta malinconia quando una delle persone con cui hai lavorato in quei giorni lascerà questa Terra troppo presto.

Aprirai il tuo sito internet, curerai i tuoi canali professionali, il blog, farai importanti investimenti, ti intervisteranno, entrerai in AITI.

Ci sarà anche chi ti imiterà, chi ti chiederà consigli, chi ti scriverà pensando che tu sia un’agenzia e non una libera professionista.

Spesso lavorerai anche il sabato e la domenica, talvolta di sera e fino a tardi, ma poi capirai che non può diventare un’abitudine e che dovrà essere un’eccezione.

Alcuni clienti approfitteranno della tua disponibilità, altri apprezzeranno il tuo lavoro più di quanto ti aspetti. Ti daranno fiducia, ti ringrazieranno per la tua professionalità, ti faranno capire che è proprio con te che vogliono lavorare e, se non puoi accettare un incarico perché sei impegnata con altri progetti, saranno disposti ad attendere il momento migliore in cui potrai dedicarti a loro.

Dopo anni dalla laurea, un giorno su un treno incontrerai per caso un professore dell’università che si congratulerà per il tuo percorso professionale dopo gli anni brillanti di studi, ti chiederà di dargli del tu e ti parlerà come suo pari.

Imparerai a non curarti di chi ti vede come anticonformista perché non hai il posto fisso, perché lavorando da casa sei perfettamente a tuo agio, perché preferisci stare dietro le quinte.

Affidandoti soltanto alle tue forze, ti sentirai spronata a dare il meglio di te, a essere responsabile di ogni scelta, errore o successo.

Conterai sempre sull’amore per il tuo lavoro, per la traduzione, una certezza incrollabile che ti prenderà per mano e ti accompagnerà a compiere il prossimo passo verso il futuro.

4 anni di Partita Iva

Ho aperto la Partita Iva un pomeriggio di quattro anni fa. Mentre andavo allo studio del commercialista, le strade erano deserte perché tutti stavano guardando una partita dell’Italia ai Mondiali.

Quattro anni dopo, mi guardo alle spalle e vedo la strada che ho percorso: salite, spesso molto ripide, discese, tratti pianeggianti, altri irti di ostacoli. Punti in cui sono inciampata, sono caduta e mi sono rialzata. Vedo le mie impronte a volte esitanti e poi sempre più decise nel seguire la direzione scelta con consapevolezza.

Il mio percorso è probabilmente simile a quello di altri freelance, ma in realtà ognuno si distingue in qualcosa: gli errori, le scelte, gli incontri, le delusioni, i traguardi, la paura, la determinazione, il coraggio.

La parola chiave? Perseveranza.

Le cose sono cambiate molto in quattro anni di libera professione. E sono cambiata io.

In questi anni di lavoro come traduttrice freelance ho imparato tanto.

L’entusiasmo iniziale era sempre accompagnato dalla paura. Di non farcela, di non riuscire a pagare le tasse (soprattutto quando arriva la mazzata del secondo anno di libera professione), di deludere me stessa e gli altri.

Il segreto? Rimboccarsi le maniche, fare, agire. Sempre.

Anche nei periodi di magra, quando non arrivano richieste dai committenti, né le risposte di potenziali clienti, i giorni passano e sembra di non concludere nulla.

Ma ho imparato che c’è sempre qualcosa da fare. Aggiornare il curriculum, contattare potenziali clienti, seguire attività di formazione professionale, curare la comunicazione online con post sul blog e l’aggiornamento dei profili. E poi vedere gente, stringere mani e darsi sempre da fare.

Nei primi mesi di lavoro come freelance ho fatto qualche esperienza di interpretariato per aumentare il fatturato o riempire periodi vuoti. Sono state esperienze stimolanti che mi hanno arricchito come persona e come professionista, ma ho sempre saputo che la mia strada era una soltanto: la traduzione.

E quando i clienti sono aumentati, l’entusiasmo e la passione mi inducevano a dire di sì alla traduzione urgente che richiedeva orari di lavoro improponibili, tarda sera e fine settimana compresi, a progetti che non mi entusiasmavano ma che mi aiutavano ad aumentare il fatturato, a collaborazioni con il committente che non tiene conto del ritmo di lavoro del freelance e pensa che sia disponibile in qualsiasi momento, anche se gli manda una richiesta alle 22:00.

Poi ho finalmente capito che un ritmo di vita di questo tipo non è sostenibile. Né per me né per chi mi è accanto. Così ho iniziato a dire i primi no e, sorpresa! Il mondo non è crollato.

Ho imparato a rifiutare progetti che non sono nelle mie corde, lavori non compatibili con i tempi di consegna delle altre traduzioni, visto che la giornata è di 24 ore ma non significa che bisogna lavorare 24 ore al giorno.

Ho detto di no a condizioni di collaborazione che non mi soddisfacevano e ho acquisito una maggiore sicurezza anche in situazioni spiacevoli che possono capitare.

Se un cliente ritardava il pagamento della fattura, all’inizio mi sentivo in imbarazzo nel sollecitarlo. Ma poi ho capito che non c’è niente di imbarazzante nel chiedere ciò che ti è dovuto. Se ho svolto un ottimo lavoro nelle condizioni stabilite e consegnato la traduzione nei tempi concordati, il cliente è tenuto a pagarmi nei tempi pattuiti, giusto?

Può sembrare una domanda sciocca, ma è importante ricordare che il freelance non lavora né per passione né per hobby. Non lavora per arrotondare, ma per fatturare. E che non sono i like e i follower a indicare che un’attività sta funzionando. È il fatturato. O meglio, il fatturato che cresce.

Grazie al fatturato in crescita, ho imparato a fare i giusti investimenti, come l’acquisto di SDL Trados Studio che è imprescindibile per un traduttore freelance.

E soprattutto ho imparato a dare il giusto valore alla risorsa più preziosa del freelance: il tempo.

Tempo da dedicare alla parte produttiva vera e propria, ossia la traduzione, ma anche alla contabilità, al personal branding, alla formazione, al networking.

E il tempo per sé. Staccare per andare a passeggiare con la cagnolina, per bere un caffè con un’amica, per partire per Roma e trascorrere tempo prezioso con la sorella gemella. Programmare un viaggio, una serata a teatro, leggere, andare al cinema.

Insomma, trovare l’equilibrio. Ci vogliono anni, ma è possibile. Continuando ad avere ambizioni, a fissare obiettivi e a lavorare sodo per raggiungerli. Continuando a crescere.

Perché non ci sarà mai un giorno in cui sentirò di “essere arrivata”. La parola successo è effimera. Perché anche se la mia attività è cresciuta molto, ciò che conta davvero è l’impegno, il sudore, la costanza, l’autodisciplina e il movimento verso la direzione scelta.

La strada continua.

Equilibrio e crescita: cosa insegna il fattore tempo

Il tempo è sottovalutato. E se c’è una cosa che ho imparato quest’anno è proprio questa: non si può dilatarlo all’infinito per inserire tutte le incombenze di cui devi occuparti, ma occorre fare delle scelte e metterle in pratica con responsabilità.

Lavorare il fine settimana o la sera: ma anche no.

Può capitare occasionalmente, ma non deve diventare una routine. L’ho imparato sulla mia pelle, quando a inizio anno ne ha risentito anche la salute psico-fisica: stress a non finire, lavoro ininterrotto per settimane, sere e weekend inclusi, senza mai riuscire a staccare, traduzione dopo traduzione.

Cosa ho imparato: Non trascurare la salute! L’equilibrio fisico è fondamentale tanto quanto quello mentale. Il riposo è essenziale. Dire di no lo è altrettanto. Perché il sovraccarico può compromettere la salute e tante altre cose. Allora ho detto basta alla collaborazione con alcuni clienti che non sembrano capire che il traduttore non è una macchina e che non può essere vigile e scattante e pronto ad accettare un progetto anche alle 22:00.

Non controllare la posta elettronica a qualsiasi ora.

Se sono sul Frecciargento di venerdì mattina perché sto andando a Roma, ho già segnalato la mia assenza ai clienti da diversi giorni. Quindi non devo pensare a potenziali incarichi che potrebbero giungere proprio in quelle ore.

Ed è successo, ovvio. Quante volte ti è capitato che, proprio quando comunichi di non essere disponibile in determinati giorni, i progetti fioccano come se non ci fosse un domani?

Non so spiegare questo paradosso, ma è reale. E se in passato era inevitabile dare una sbirciatina alla posta elettronica pensando “magari c’è un’urgenza o è una questione di minuti, che male c’è?”, oggi la penso in modo diverso. Perché dopo aver segnalato la mia assenza al cliente, mi aspetto che venga rispettata. Se mi propone comunque un progetto proprio in quelle ore o in quei giorni in cui sa che non sono disponibile, la percepisco come una mancanza di rispetto. Del resto al cliente non piacerebbe essere importunato per questioni di lavoro di domenica, durante una gita fuori porta con la famiglia, vero?

Cosa ho imparato: È meglio godermi il viaggio in treno o il giorno di riposo o la vacanza e non controllare le email. Se ho specificato che non sono disponibile il giorno X, non accetto incarichi. Punto. E leggo la posta elettronica quando torno operativa. È stato difficile, ma è un punto su cui ormai non transigo.

Produttività, equilibrio e Sheila

È difficilissimo dire di no quando sto lavorando a diversi progetti e si presentano altre proposte interessanti. Ma talvolta bisogna farlo, perché è praticamente impossibile gestire millemila traduzioni, consegne che si accavallano e avere anche il tempo di riposare gli occhi dal computer. Così do al cliente il nome di un traduttore che potrebbe occuparsi di quel progetto che devo rifiutare: in questo modo fornisco comunque una soluzione e ho la possibilità di fare una piccola gentilezza a un collega.

Cosa ho imparato: La qualità del proprio tempo deve essere valorizzata, perché esiste altro che richiede la tua attenzione oltre al lavoro: gli affetti, la famiglia, i tuoi interessi e passioni.

Sheila

Sheila

Da quando quest’anno Sheila è entrata nella mia vita, ho imparato a impiegare il mio tempo in modo più produttivo e consapevole. Se a un certo punto stacco per dedicarmi a lei, riesco a farlo perché porto a termine ciò che ho stabilito, senza lasciarmi distrarre da attività trascurabili e che rubavano il mio tempo.

Il principio è più o meno quello seguito da chi ha figli: la cura e la dedizione nei loro confronti non possono essere rimandati. Quindi non si può procrastinare, ma occorre riuscire a organizzare le proprie attività con disciplina e senza dimenticare che l’imprevisto è dietro l’angolo.

Così cerco ogni giorno di valorizzare ogni minuto di lavoro e di pausa, abbracciando l’idea che conciliare le parole equilibrio e crescita è possibile. Eccome se è possibile!

Qual è il contrario della procrastinazione?

Nella vita da freelance, la procrastinazione può essere uno dei mali che affliggono la professione. Si tende a procrastinare per vari motivi: rimandi qualcosa di noioso o che temi di affrontare, sei stanco e non ce la fai ad affrontare i progetti che ti aspettano…

Ma la situazione non può che peggiorare.

Il motivo? Finisci per fare tutt’altro senza rendertene conto: chat su Facebook, messaggi, video su Youtube, lettura di blog inghiottiscono la giornata di lavoro. Poi ci sono le email, le notifiche che interrompono qualsiasi attività a cui ti stai dedicando… solo per parlare delle interruzioni e distrazioni del mondo digitale.

Così addio produttività e la giornata si conclude senza aver raggiunto gli obiettivi prefissati.

Procrastinazione: la mia esperienza

Ti confesso che la procrastinazione non mi caratterizza. Anzi… direi che è il contrario. 😀

Il senso dell’autodisciplina mi guida in ogni cosa e nel lavoro faccio una serie di scelte finalizzate a non compromettere la produttività.

Certo, le interruzioni non mancano, ma cerco di limitarle il più possibile. Ogni giorno deve essere basato sull’organizzazione e la valutazione di eventuali imprevisti. E non posso permettermi di perdere tempo perché, essendo traduttrice freelance, la mia vita lavorativa è scandita dalle consegne.

Se non porto a termine gli obiettivi che mi sono prefissata, mi faccio prendere dall’ansia e la notte non riesco a chiudere occhio, con buona pace della lucidità e del riposo.

Questo senso del dovere mi accompagna da quando ero una bambina. Ai tempi della scuola e poi dell’università sapevo che il mio dovere era studiare. Ma ho sempre affrontato lo studio con passione.

Tuttavia, il contrario della procrastinazione può rivelare il suo lato oscuro. Perché può essere difficile dire di no al cliente, rispettare una determinata fascia oraria oltre la quale mi impongo di non leggere più le email e non lavorare oltre una determinata ora.

C’è voluto del tempo e capita di sfiorare il burnout. Perché i periodi di stress possono diventare frequenti e i momenti di pausa troppo pochi. E non smettere mai di lavorare può compromettere la salute, gli affetti, fagocitare intere giornate senza rendertene conto.

Cosa ho imparato?
Ho imparato a trovare un equilibrio, a dire basta prima di arrivare al limite. A non rinunciare ai miei interessi. A rispettare il mio tempo.

Perché la procrastinazione è un male… ma anche il suo contrario può diventare pericoloso.

Che ne pensi? Qual è la tua esperienza al riguardo? 🙂

Le mie impressioni sul Freelancecamp Roma

Il 16 giugno 2017 si è svolta la prima edizione del Freelancecamp Roma, il barcamp dei freelance che dal 2012 si tiene ogni anno a Marina Romea.

Ho partecipato all’edizione romana e, come mi aspettavo, l’evento è stato assolutamente stimolante e ricco di spirito costruttivo. Questo raduno di freelance non è soltanto un momento di formazione, ma è soprattutto una giornata all’insegna del networking.

Puoi scoprire la storia e le diverse sfumature del lavoro indipendente, visto che si riuniscono diverse figure professionali.
Ma la cosa più bella è il piacere di aver conosciuto di persona diverse colleghe conosciute online, trovando una piacevole sintonia e incontrando volti nuovi o familiari che hanno qualcosa da raccontare.

Fonte: @zarina1973

Fonte: @zarina1973

Nel corso della giornata, si sono susseguiti diciotto interventi: alcuni davvero brillanti e ricchi di spunti, altri un po’ meno. Perché il Freelancecamp è l’occasione perfetta per confrontarsi con altri liberi professionisti: la condivisione delle esperienze ti porta a pensare che siamo un po’ tutti sulla stessa barca e ci fa sentire meno soli.

Così ho apprezzato l’intervento di Francesca Manicardi di Punto F che ha presentato il Freelance Lab e nel suo speech ha toccato vari punti che sono stati affrontati anche da altri speaker. Tra questi, il rapporto con i soldi e il coraggio di parlarne apertamente e con simpatia come ha fatto Alessandra Farabegoli, una degli ideatori del Freelancecamp, che ci ha ricordato che gli equilibri cambiano e l’importanza dei bilanci nella nostra vita professionale.

Donata Columbro ha illustrato un’appassionante metafora tra il freelance e il maratoneta, mentre Simona Sciancalepore ci ha fatto sorridere con i “mai senza” del freelance, tra cui il confronto, l’attività fisica, il prosecco, il pianto e le risate.

Senza dimenticare l’importanza della gestione del tempo, riducendo le distrazioni e le attività sterili, imparando a disconnettersi per migliorare lo stile di vita.

Oppure due importanti moniti di PeopleBranding:

  1. Lavorare gratis significa diminuire la qualità percepita del tuo servizio. Meditate, gente, meditate.
  2. Per quanto il branding e la promozione di se stessi possano aiutarci nel mercato, non sono tutto, anche se oggi inseguiamo la visibilità. Sono le competenze, le conoscenze e le relazioni instaurate a trasmettere al cliente la qualità del lavoro del professionista.

Paolo Cappelli si è soffermato sull’importanza del perché facciamo il nostro lavoro, che ci porta a riflettere sulla nostra unicità. E in questo modo possiamo anche imparare a innovare o a colmare alcune lacune del mercato, differenziandoci dalla concorrenza.
Ho amato particolarmente il suo speech perché analizzava diversi aspetti che sostengo da sempre, come l’importanza dell’empatia nella relazione con il cliente, che ti porta a unire il tuo perché al suo. E soprattutto il ruolo essenziale delle competenze e della comunicazione interculturale quando vuoi vendere un servizio o un prodotto all’estero.

Ecco i video degli speech che ho apprezzato di più. Puoi vedere tutti gli interventi sul sito del Freelancecamp e le foto ufficiali scattate da Giuliana Corrado e Sara Soldano.

Francesca Manicardi – Vademecum per aspiranti freelance

Augusto Pirovano – Come presentare e vendere partendo dai problemi

Donata Columbro – Run like a freelance

Alessandra Farabegoli – I bilanci dei freelance

Paolo Cappelli – Internazionalizzazione del freelance: aprirsi al mercato globale

Cristiano Nordio e Gianluca Fiscato (PeopleBranding) – Dare un prezzo al proprio valore

Matteo Uguzzoni – Seneca, il cash e un quaderno giapponese

Simona Sciancalepore – Come sopravvivere ai mali del freelance

E come dice Alessandra Farabegoli: “Freelancecamp è smettere di lamentarsi e cominciare a cambiare”. 😀

Freelance e vacanze: riesci a staccare?

A differenza di un dipendente che ha le ferie retribuite, un freelance che va in vacanza è consapevole che, se non fattura perché è in pausa, allora non guadagna.

Infatti può essere difficile concedersi una vacanza, soprattutto quando dura più di una settimana. Perché tendi a pensare che i clienti non possono fare a meno di te, ma temi che trovino qualcun altro che ti sostituisca, oppure un potenziale cliente potrebbe contattarti proprio quando non stai lavorando e cerchi di riposare un po’.

Così non riesci a rilassarti in pieno e a godere di momenti rigeneranti in orizzonti diversi: un viaggio, il mare, un luogo mai visto e da scoprire…

Ma staccare è importante per dedicare più tempo a se stessi e ad attività che ti piacciono e per le quali non hai mai tempo. Puoi abbracciare un ritmo di vita più lento, che possa rigenerare e darti la carica necessaria quando tornerai al lavoro.

Qual è la tua esperienza di freelance che va (o non va) in vacanza?

Fai una vacanza breve di qualche giorno oppure ti concedi almeno due settimane?

Digital detox

Le vacanze sono il momento ideale per disconnettersi dal digitale: email, social media, notifiche e quant’altro vengono accantonati per giorni per riposare la mente sempre connessa.

Ma è davvero così?

Quando sei in vacanza ti disconnetti proprio da tutto oppure in realtà controlli le email almeno una volta al giorno?

Per non parlare dei social, che non vengono usati soltanto nell’ambito professionale, anzi. In vacanza pubblichi foto, commenti e post che documentano la tanto sospirata pausa? Oppure preferisci considerare le vacanze come un momento privato, da condividere con chi ti circonda e non con chi è online?

Quindi ti chiedo: durante le vacanze, riesci a staccare da tutto e da tutti o invece ti connetti ogni tanto?

Raccontami la tua esperienza. 😀