Di riservatezza, segreto professionale e invisibilità

Ho letto il post di Carlotta Cabiati e mi sono fermata a riflettere sul concetto di riservatezza.

La riservatezza è una prerogativa imprescindibile della professione del traduttore.
Non intendo dire che il traduttore sia una persona schiva e riservata (anche se spesso è così), bensì che applica il concetto di riservatezza in ogni ambito della sua professione.

I traduttori firmano una quantità impressionante di accordi di riservatezza e non divulgazione. Che si tratti di agenzie di traduzione o clienti diretti, molti di questi chiedono al traduttore freelance di firmare un accordo per tutelare la riservatezza dei contenuti trattati prima di affidare un incarico di traduzione.

Questi NDA obbligano il traduttore a non condividere informazioni confidenziali che possono riguardare segreti industriali, dati sensibili o qualsiasi informazione di carattere commerciale o di altra natura che il cliente intende custodire.

Tali accordi possono generare alcune difficoltà pratiche per il traduttore che, alla luce di clausole piuttosto restrittive, non può ad esempio fornire una referenza specifica o un campione di una traduzione effettuata in passato in un determinato settore a un’agenzia di traduzione nonché potenziale cliente con cui intende avviare una collaborazione.

Ma ci sono anche altri grattacapi di natura analoga con cui il traduttore deve misurarsi quasi ogni giorno.
Un esempio: il traduttore lavora al progetto X per il cliente Y. Quando familiari, amici, parenti, conoscenti, curiosi eccetera gli chiedono “di cosa ti occupi al momento?”, “a cosa stai lavorando?”, la risposta è alquanto generica: il traduttore non si sente autorizzato a riferire il nome del cliente o a illustrare nel dettaglio il progetto. E la cosa importante è che ciò accade anche quando il traduttore non ha firmato un accordo di non divulgazione.

Perché?
Proprio per la riservatezza che fa parte dell’atteggiamento professionale e che non necessita di un accordo scritto per essere tale.

Ad esempio, io mi limito a dire che sto traducendo una brochure dal francese all’italiano per un’agenzia francese. E quel velo di invisibilità che avvolge la figura del traduttore anche in virtù dei segreti che custodisce professionalmente aggiunge un’ulteriore dose di mistero e di incomprensione diffusa della professione agli occhi degli altri.

Eppure a un avvocato non viene chiesto il nome del cliente a cui presta assistenza legale… oppure sì?

Insomma, quando raccontiamo il lavoro che facciamo dobbiamo tener conto di certi limiti. Che ne pensi?

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