Di duellanti, traduttori e competizione

Ho visto I Duellanti a teatro. Due volte. E il groviglio di emozioni e suggestioni che mi ha lasciato lo spettacolo con Alessio Boni e Marcello Prayer mi ha portato a riflettere sul gioco di riflessi che cattura lo spettatore.

I Duellanti è tratto dall’omonimo racconto di Joseph Conrad, che ispirò anche il bellissimo film di Ridley Scott del 1977 con Harvey Keitel e Keith Corradine.

Assistiamo allo scontro di due ufficiali di cavalleria della Grande Armée di Napoleone.
Come descrive la sinossi dello spettacolo teatrale, si tratta degli ussari Gabriel Florian Feraud, guascone iroso e scontento, e Armand D’Hubert, posato e affascinante uomo del nord.

“Per motivi a tutti ignoti – e in realtà banalissimi, al punto da rasentare il ridicolo – inanellano sfide a duello che li accompagnano lungo le rispettive carriere, senza che nessuno sappia il perché di questo odio così profondo. E, proprio per il mistero che riescono a conservare, i due diventano famosissimi in tutto l’esercito napoleonico: non tanto e non solo per i meriti sui campi di battaglia di tutta Europa, quanto per la loro eroica fedeltà alla loro sfida reciproca, che li accompagnerà per vent’anni, fino al duello decisivo.”

È la prima volta che I Duellanti viene adattato per il teatro e il risultato dello spettacolo diretto da Alessio Boni e Roberto Aldorasi è straordinario.

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Ti identifichi nell’impetuoso Feraud (Marcello Prayer) e nel riflessivo D’Hubert (Alessio Boni) e non puoi fare a meno di leggere la loro rivalità come rappresentazione di un conflitto altro.
Il loro gioco di luci e ombre, lo scontro ripetuto nel tempo, fisico e verbale, riflette un tormento ossessivo che trovi scavando dentro di te.
Istinto contro ragione. E un conflitto più profondo e soggettivo che si manifesta sul piano personale e professionale.

Chi è il tuo eterno sfidante?
Conosci la risposta.

Faccio un esempio.
Nel mio ambito professionale la competizione è un elemento inevitabile, soprattutto quando non fai a meno di chiederti in che modo potresti distinguerti da un altro traduttore che lavora con le tue stesse combinazioni linguistiche e negli stessi settori di specializzazione.

Ma sai qual è la verità?
Fra i traduttori c’è un grande spirito di collaborazione perché la rivalità si combatte altrove: lo scontro è interiore, è quella voce che ti sprona a misurarti con un progetto che ti spaventa, o un testo magari un po’ ostico che però ti stimola come non potrebbe fare un lavoro semplice. La competizione è nel desiderio di fare sempre meglio, di inseguire la perfezione.

Il terreno di scontro è dentro di te: è il nemico interiore che non puoi ingannare perché sa tutto di te.
Per conoscere l’identità del tuo duellante, pensa al feroce avversario che si nasconde dentro di te. La tua ombra che ti sfida sempre a misurarti con i tuoi limiti e con cui finirai sempre per duellare.

La cosa importante è trasformare la forza distruttrice del duello in una potenza costruttiva che ti incalza senza sosta verso la conquista del risultato.

La battaglia sarà vinta?
Sì, ma solo fino al prossimo duello.

“Duellare è la vita”.

Foto: Federico Riva