vacanza estero

3 cose da non fare se viaggi all’estero

Stai organizzando una vacanza all’estero? Vuoi lasciare i confini italiani per un breve periodo e conoscere posti nuovi e persone di un’altra cultura?

È tempo delle sospirate ferie e di un po’ di meritate vacanze. Se hai in programma di trascorrere qualche giorno o settimana all’estero, è importante evitare brutte figure.

Purtroppo esistono molti stereotipi sugli italiani: parlano troppo, gesticolano in continuazione, sono troppo espansivi. Questa è l’immagine generale che diamo all’estero e, purtroppo, c’è un fondo di verità.
Anche se non parli bene la lingua del Paese che vuoi visitare, ci sono alcuni accorgimenti da tenere presente per non risultare fastidiosi o incomprensibili alle persone del posto.

1. Gesticolare troppo

Forse non ce ne accorgiamo, ma quando parliamo non stiamo fermi neppure un secondo. I nostri gesti sono ampi, rafforzativi, enfatici e fanno parte del nostro modo abituale di parlare. Spesso sostituiscono persino le parole.
Ma non è detto che risultino comprensibili o intuitivi, soprattutto quando ci troviamo all’estero. Inoltre esistono alcuni gesti per noi spontanei o dal significato positivo (come “OK”) che per altre culture sono invece volgari e indice di maleducazione.
Un consiglio: gesticolare il meno possibile!

2. Parlare a voce alta

L’italiano caotico e rumoroso che parla a voce troppo alta suscita un certo fastidio persino a un concittadino. Figuriamoci in un Paese diverso, come nel Nord Europa, dove un tono di voce elevato ci fa apparire come gente maleducata anche in una normale conversazione. Occorre quindi mantenere un tono di voce moderato per non irritare l’altro.

Nella metro di Londra, inoltre, è preferibile evitare di parlare con qualcuno che non si conosce, nonché schivare il contatto visivo, che rappresenta l’unico modo per conservare il proprio spazio personale.

3. Criticare la cucina

Senza dubbio la cucina italiana è uno dei nostri vanti. Ma se viaggiamo in un altro Paese, non possiamo pretendere la qualità della nostra cucina o la variegata scelta alla quale siamo abituati. Un piatto di pasta all’estero sarà sempre diverso da quello che mangiamo in Italia, così come la pizza. Per non parlare del caffè.

Tuttavia, è consigliabile provare la cucina del posto, assaggiare i piatti tipici, gli odori di una gastronomia diversa dalla nostra. Del resto è un’occasione da cogliere per sperimentare qualcosa di nuovo anche in cucina. Criticare non serve a nulla. Anzi, ci fa apparire solo come persone dalla mentalità ristretta.

Pensi che questi consigli possano essere utili per non fare brutta figura all’estero?

Come tradurre il silenzio

 

Se non conosci la sua lingua, non comprenderai mai il silenzio dello straniero.

Stanislaw Jerzy Lec

Probabilmente ciò è vero anche per la cultura. Non è detto che bisogna conoscere la lingua dello straniero per comprendere il suo silenzio, ma forse è preferibile avere qualche nozione di comunicazione interculturale per evitare malintesi, soprattutto se stai negoziando con un potenziale cliente estero.

Per concludere la trattativa a tuo favore e non fraintendere l’interlocutore, è infatti opportuno curare la comunicazione paraverbale, cioè il modo in cui qualcosa viene detto. Questo aspetto include anche il silenzio.

Ti è mai capitato di sentirti a disagio di fronte al silenzio dell’altro?

Le differenze culturali si rivelano anche nel significato del silenzio, che assume un valore diverso a seconda delle circostanze, del contesto, della cultura di appartenenza di due o più interlocutori.

Rispetto

Le culture asiatiche, in particolare quella giapponese, attribuiscono un ruolo importante al silenzio: si tratta di una forma di rispetto nei confronti dell’interlocutore, la manifestazione di un ascolto attento alle parole dell’altro. Esattamente l’opposto di quanto saremmo portati a pensare.

Un italiano, un americano, un francese, un inglese penserebbero invece il contrario.

Ad esempio, uno di loro conclude un intervento, un discorso, o pone una domanda; si aspetta quindi una risposta o una reazione immediata da parte dell’altro. Il giapponese (o l’interlocutore asiatico) rimane in silenzio per qualche istante prima di prendere la parola. Allora l’altro pensa che c’è qualcosa che non va, magari non è stato capito, il messaggio non è giunto in modo efficace: avverte questa pausa come un momento di imbarazzo e magari interviene nuovamente per chiedere spiegazioni.

In questo modo il silenzio dell’altro non è stato rispettato, perché la sua pausa era voluta, era un momento di riflessione atto a dimostrare l’interesse suscitato dall’intervento, tale da meritare qualche istante di silenzio prima di prendere la parola. Ed è qui che la comunicazione fallisce.

In questi casi il silenzio è quindi una parte fondamentale del discorso. Pertanto occorre inserire un maggior numero di pause per rendere la nostra comunicazione efficace.

Imbarazzo

L’italiano, lo spagnolo, le culture mediterranee e, in genere, quelle occidentali, tendono a evitare il silenzio, ritenendolo una fonte di disagio, un aspetto da evitare nella comunicazione. Per questo si tende a riempire il “vuoto” con interventi o commenti banali, si preferisce parlare di nulla pur di eludere l’imbarazzo suscitato dal silenzio.

Quante volte hai parlato del meteo pur di riempire una pausa nella conversazione?
Oppure pensa all’irritazione che spesso provi di fronte a lunghi momenti di silenzio in un film, mentre una battuta o un dialogo anche privi di contenuti interessanti ti sembrano più naturali.

Per tali ragioni, l’italiano o le persone appartenenti alle culture citate qualche rigo più sopra appaiono come molto loquaci, intenti a chiacchierare in continuazione.

Occorre quindi ricordare il valore culturale del silenzio.

Ma il consiglio più utile è questo: rispettare sempre la cultura dell’altro, mostrare curiosità verso le differenze ed essere umili. La nostra cultura è solo una prospettiva possibile tra le tante e non si finisce mai di imparare. Anche dal silenzio.