Quando sì significa no e potenziali disastri

Vorrei spiegarti una cosa che potrebbe sembrare paradossale ai tuoi occhi e che forse ti lascerà di stucco.
E per farlo ti racconto una breve storia.

Un docente di grafica sta tenendo una lezione in accademia a un ridotto numero di studenti, alcuni dei quali sono stranieri. Tra questi, c’è una studentessa cinese.

Il docente vuole assicurarsi che ognuno di loro abbia compreso i passaggi da eseguire, così si rivolge in privato al singolo studente e gli chiede: “Hai capito?”. La ragazza cinese risponde di sì. Ma quando esegue il compito assegnato, commette una serie di errori che dimostrano che non ha capito la spiegazione.

Allora perché aveva risposto affermativamente?

Stile diretto o indiretto

Lo stile della comunicazione può essere:
– diretto ed esplicito
– indiretto e implicito.

Le culture asiatiche hanno una maggiore tolleranza nei confronti dell’ambiguità. Per loro i giri di parole e il contesto sono molto importanti e occorre leggere tra le righe per interpretare correttamente una frase.

Lo stile diretto ed esplicito è invece tipico delle culture occidentali e mediterranee.

Queste differenze di stile si riflettono anche quando poniamo una domanda.

Posso farti una domanda?

Esistono diversi tipi di domanda, come le domande chiuse, ossia quelle a cui rispondere “sì” o “no” e che non richiedono una risposta articolata.

Per un cinese o un indiano, rispondere negativamente significa mancare di rispetto al proprio interlocutore o mettere in discussione la sua autorità.

Dato che è importante salvare la faccia, tendono a rispondere di sì anche se in cuor loro pensano l’opposto. Non è un atteggiamento servile o da yes man, bensì finalizzato a mantenere l’armonia e a non perdere la faccia.

Chi tace acconsente?

No!

Questo punto di visita è tipico degli italiani.

L’italiano esprime chiaramente il dissenso. L’affermazione del disaccordo è tipica delle culture mediterranee, mentre ad esempio gli inglesi tendono a sfumare il dissenso: hai presente quando la loro risposta inizia con “Yes…” e poi continuano con “but…”?

Fanno così perché prima sottolineano ciò su cui concordano e poi continuano la frase esprimendo ciò su cui non sono d’accordo.

Se l’altro non manifesta apertamente il proprio dissenso, non bisogna dare per scontato che sia d’accordo con te. Questa chiave di lettura è tipicamente italiana e non contraddistingue tutte le culture.

Morale:
La ragazza non aveva capito la spiegazione del docente. Ma aveva risposto di sì non perché è ottusa o bugiarda, ma per non mancare di rispetto.

Per alcune culture la risposta affermativa è una forma di riguardo ed educazione nei confronti dell’interlocutore.

Cosa fare in questi casi?

Se interagisci con qualcuno di una cultura che predilige uno stile indiretto e implicito, evita le domande chiuse. Cerca di ottenere una risposta realistica che faccia sentire l’altro a suo agio.

Sì, ci vuole un po’ di creatività. Ma del resto la comunicazione è un atto creativo. 🙂

Il francese, una storia d’amore

Il 20 marzo si celebra la Giornata Internazionale della Francofonia, che mira a valorizzare la cultura francofona e la lingua francese nel mondo.

Ti segnalo giusto un paio di dati significativi:

  • Il francese è la quinta lingua più parlata del mondo
  • Nel mondo ci sono 274 milioni di francofoni

Ma patrie, c’est la langue française.
Albert Camus

Insieme all’inglese (e ovviamente all’italiano, la mia lingua madre), il francese è la mia lingua di lavoro. Ed è una lingua che amo profondamente alla pari dell’inglese.

Tra marketing, turismo e moda, ogni giorno leggo, analizzo e traduco testi nella mia madrelingua per clienti che, guarda caso, sono per la maggior parte francesi.

Spesso noto un certo pregiudizio nei confronti di questa lingua e cultura da parte di chi mi circonda: il francese non piace a tutti, c’è chi lo ritiene simile all’italiano ma in verità troppo difficile da capire, chi rimane bloccato nella grammatica complessa, chi mastica il francese scolastico e chi preferisce trincerarsi nel cliché “i francesi sono snob”.

Quante volte si parla male dei parigini che non sono disponibili nei confronti dei forestieri? Ecco l’immagine diffusa: il forestiero chiede informazioni e il francese finge di non capire o si rifiuta di parlare inglese. Detesto questo stereotipo perché è tipico di noi italiani che dovremmo essere gli ultimi a tacciare i francesi di arroganza, visto il pessimo livello generale nelle lingue straniere.

Del resto, un forestiero che chiede informazioni a un romano non si trova generalmente di fronte a barriere linguistiche insormontabili? Quanti saprebbero rispondergli in inglese e non in italiano?

Insomma, questo atteggiamento superficiale mi fa pensare all’ostilità calcistica Italia-Francia. Essendo adulti, potremmo avere una maggiore apertura mentale, non credi? 🙂

Dopo essermi tolta questo sassolino dalla scarpa, vorrei raccontarti la mia storia d’amore con la lingua francese.

Tutto è cominciato a scuola, quando lo studio del francese alle elementari è stato il mio primo approccio con le lingue straniere. Ero la bambina che si applicava con maggiore entusiasmo nei confronti di questa lingua, di cui adoravo il suono, la pronuncia, la magia delle parole che non capivo e che poi assumevano un significato. Una caccia al tesoro, una caccia al senso e una ricerca linguistica che un giorno sarebbero diventate il mio pane quotidiano.

La scuola media è stata l’occasione di scoprire l’inglese, che ho affiancato al francese anche al liceo linguistico e all’università.

Mi piaceva andare oltre ciò che imparavo nelle cinque ore di frequenza e così le gite scolastiche, le certificazioni linguistiche e i soggiorni all’estero sono stati l’occasione di toccare con mano la lingua vera, quella che esiste oltre i testi scolastici: gli insegnanti madrelingua, i parigini, i monumenti, i negozi, i musei, i viaggi. Un universo così vivido che mi ha fatto perdere la testa per la musicalità della lingua, l’eloquio rapido e la raffinatezza che mi ispira il francese.

Mi sono innamorata della cultura francese anche con la letteratura. Uno dei primi approcci è stato Notre-Dame de Paris di Victor Hugo e lo splendido musical che ha rapito il mio immaginario da ragazzina quando, oltre alla versione italiana di Riccardo Cocciante, ho perso la testa per la versione originale in francese.

A 18 anni ho avuto una vera e propria folgorazione per Albert Camus, che ancora oggi è il mio scrittore preferito, su cui ho poi basato la tesi di laurea in Mediazione Linguistica.

E negli anni in cui ho scoperto il cinema francese, ho cementato il mio amore per questa lingua e cultura all’università: traduzioni, potenziamento della grammatica, terminologia specialistica, storia della lingua e letteratura francese e una splendida docente francese che mi ha trasmesso un’etica professionale inestimabile.

Oggi mi ritengo privilegiata nel lavorare con il francese e con clienti che sono fieri della loro lingua. Pensa che i francesi traducono tutto, francesizzano praticamente ogni termine straniero. Invece noi abbiamo un tale servilismo nei confronti dell’inglese da introdurre anglicismi e inglese maccheronico quando parliamo e scriviamo.

Insomma, sarebbe meglio scendere dal piedistallo con cui si giudicano i francesi per la loro altezzosità o distacco. Il metro di misura? La socievolezza e l’espansività sono tipici della nostra cultura, ma il comune denominatore tra le due culture è il rispetto. Che per i nostri cugini è una certa riservatezza e cortesia manifesti in quel “vous” ampiamente diffuso, a differenza del nostro darci del tu con maggiore frequenza.

Paese che vai… 😉

Sage est le juge qui écoute et tard juge
(Saggio è il giudice che ascolta e tardi giudica)

12 domande per sviluppare la tua curiosità interculturale

La curiosità interculturale è l’atteggiamento di apertura nei confronti delle differenze culturali.

Come puoi sapere se sei animato da questo tipo di curiosità oppure se temi che i tuoi valori siano messi in discussione dalla diversità?

Forse pensi di avere questo tipo di apertura mentale e lo dici anche ad alta voce, ma in realtà preferisci restare nel tuo sicuro mondo di certezze per non compromettere la tua visione.

Come dico sempre, la comunicazione interculturale è alla portata di tutti, anche di chi ha scarse conoscenze linguistiche.

Così ho preparato alcune domande per aiutarti a scoprire se hai un pizzico di curiosità interculturale e a sviluppare questo atteggiamento.

Magari alcune di queste domande ti faranno sentire un po’ a disagio. Ma non è un’interrogazione, nessuno ti obbliga a rispondere ad alta voce o per iscritto.
Puoi riflettere in silenzio su ciascuna domanda e rispondere in cuor tuo. Nessuno ti giudicherà, puoi fare questo esercizio in completa autonomia.

Iniziamo!

  • Ascolto attivamente l’altro?
  • Mi piace scoprire qualcosa di nuovo sulle altre culture?
  • Dedico del tempo alla ricerca e alla comprensione delle differenze culturali?
  • Tendo a giudicare ciò che è diverso da me?
  • Che cosa provo quando scopro valori diversi da quelli della mia cultura?
  • Nella cerchia delle mie conoscenze, ci sono persone di altre nazionalità?
  • Riesco a mettermi nei panni dell’altro?
  • Come reagisco se commetto una gaffe a causa delle differenze culturali?
  • Cerco attivamente nuove occasioni di confronto con qualcuno di un’altra cultura?
  • Sono disposto a mettere in discussione la mia visione del mondo?
  • Mostro apertura nei confronti della diversità?
  • Quali opportunità posso sfruttare per interagire con persone di una cultura diversa dalla mia?

Di certo non è stato facile rispondere a ogni quesito, ma spero che adesso le tue idee siano più chiare.

Se ti va di condividere cosa hai scoperto rispondendo a queste domande, aspetto la tua riflessione nei commenti. 🙂

Dalla traduzione alla corrispondenza: tu o Lei? E vous?

È una questione dibattuta: come rivolgersi al cliente? Come tradurre “you” o “vous” in italiano?

Perché se la nostra lingua ci aiuta a fare una distinzione precisa tra il Lei di cortesia, tu e voi (inteso al plurale, eh! Perché Voi di cortesia è un retaggio letterario, ma anche meridionale e del fascismo), l’inglese e il francese mantengono una certa ambiguità… eppure non è un dilemma irrisolvibile.

Vous per la Francia!

La chiamavano Madame Lippolis. 😀

Proprio così, un cliente francese mi chiama “Signora Lippolis”. Questo appellativo mi metteva un po’ a disagio soprattutto all’inizio, perché “signora” non mi piace neppure in italiano. Ma è una questione di abitudine e il Lei di cortesia, che in francese corrisponde a vous, è la forma più diffusa.

I clienti francesi mi danno del vous. Sempre. Anche se collaboriamo da qualche anno, ci sentiamo diverse volte alla settimana e nelle email che scriviamo ci chiamiamo per nome.
Questa forma di cortesia reciproca è tipica dei francesi. Ci si dà del tu molto raramente in ambito professionale, perché tu è riservato a qualcuno che conosci bene, ad amici, parenti e familiari.

Non si tratta di freddezza o di stabilire una distanza invalicabile: è una grande forma di rispetto nei confronti dell’interlocutore.

Un esempio tratto dalla mail di una cliente:

Bonjour Raffaella,
Plaisir partagé ! Je suis ravie de travailler avec vous !

Con i clienti inglesi e americani c’è una maggiore confidenza: ci chiamiamo per nome, lo stile e i saluti sono più informali. Ciò avviene anche con interlocutori di altre nazionalità, come un Project Manager spagnolo con cui ho una corrispondenza in inglese.

E invece gli italiani?
Prevale il tu, sia nel caso dei clienti che conosco di persona sia nella corrispondenza con clienti a centinaia di chilometri di distanza e che non ho mai incontrato. Ma ci sono delle eccezioni, soprattutto legate all’età, come nel caso della titolare di un’agenzia di traduzioni italiana che mi dà del Lei: ovviamente anch’io uso questa forma di cortesia, vista la differenza d’età.

La traduzione dal francese

Quando traduco dal francese, vous è la forma più utilizzata nel testo di partenza. Ma in italiano può essere tradotto con voi (seconda persona plurale), Lei e tu.

Come si fa a scegliere?
Dipende dal contesto – come per qualsiasi cosa nella traduzione! – e dalle preferenze di ciascun cliente. Per evitare di sbagliare e utilizzare uno stile improprio, sarebbe meglio avere un file in cui specificare le preferenze di ognuno. 😉

E tu? Quale registro usi con i tuoi clienti o collaboratori?

Il significato dei fiori nelle culture

 

La primavera è la stagione dei fiori e della natura che rinasce. I colori e i profumi dei fiori sono apprezzati da tutti, quindi i fiori sono ampiamente utilizzati come decorazione, regalo o omaggio per consolidare una relazione.

Secondo il linguaggio dei fiori, ogni fiore ha un significato simbolico: la rosa rossa è associata all’amore e alla passione, la viola richiama il pensiero, la campanula comunica gratitudine. Sono soltanto alcuni esempi, ma sai bene che prima di regalare un bouquet è meglio scegliere con cura i fiori della composizione a seconda del destinatario dell’omaggio floreale.

Le difficoltà aumentano se consideriamo le differenze culturali: i fiori assumono un significato diverso nelle altre culture.

Pensa che in Giappone esiste un linguaggio dei fiori molto articolato, chiamato hanakotoba, che è di primaria importanza.

Se sei invitato a un pranzo o a una cena da un ospite di un’altra cultura e desideri offrire un mazzo di fiori, è meglio che tu conosca i diversi significati dei fiori a livello globale. Le differenze culturali riguardano ad esempio il tipo di fiore, il numero e i colori e possono anche influenzare un rapporto d’affari.

  • In Italia e in Russia il bouquet deve essere composto da un numero dispari di fiori. Ma occorre evitare il numero 13.
  • In molti Paesi arabi e asiatici, il bianco è il colore del lutto. Quindi è meglio non regalare fiori bianchi. Analogamente, il giallo è il colore del lutto in alcuni Paesi dell’America Centrale e Meridionale.
  • Alcuni fiori associati al lutto e alla morte: crisantemi (Italia), gigli (Inghilterra), garofani (Francia).
  • I papaveri rossi sono i fiori del Remembrance Day, il giorno di commemorazione delle vittime della Grande Guerra osservato a novembre nel Regno Unito. Così i papaveri rossi sono il simbolo del ricordo che vediamo spesso appuntato sugli abiti dei britannici in segno di memoria.
I fiori nel marketing

Spesso i fiori sono utilizzati nei materiali di marketing: cataloghi, logo, packaging e altri materiali includono foto di fiori oppure fiori stilizzati.

Però se un brand intende rivolgersi a una clientela internazionale, sarebbe meglio fare attenzione ai fiori presenti sul materiale promozionale. Consiglio di fare opportune ricerche sul target di riferimento per evitare brutte figure e per non suscitare una cattiva impressione.

I fiori hanno un’influenza misteriosa e sottile sui sentimenti, analogamente a certe melodie musicali. Rilassano la tensione della mente. Dissolvono in un attimo la sua rigidità.
Henry W. Beecher

Scrivere email considerando le differenze culturali

Scrivere email è un’attività che fai ogni giorno, un processo ormai indispensabile nei rapporti commerciali in cui le parole diventano l’elemento fondamentale della comunicazione.

Quando scrivi una email, non puoi basarti sul linguaggio del corpo o sul tono della voce dell’interlocutore, quindi il rapporto professionale è interamente fondato sulle parole, che assumono un’importanza decisiva.

La situazione è decisamente più complessa nello scambio di email con un partner o cliente di un’altra cultura. Non devi tener conto soltanto delle barriere linguistiche, ma andare oltre l’aspetto prettamente linguistico e imparare a riconoscere le differenze culturali.

Le aspettative influenzano il modo in cui consideriamo le email:

  • una email breve e concisa è un segno di indelicatezza oppure di rispetto del tempo a disposizione del destinatario?
  • è preferibile un approccio più personale e amichevole quando scrivi una email o in questo modo la professionalità ne risente?

Sorpresa! Non esiste una risposta universale a queste domande, perché tutto dipende dalle differenze culturali, quindi devi essere in grado di adattarti allo stile di comunicazione dell’interlocutore a seconda della sua appartenenza a una cultura ad alto o basso contesto.

Culture ad alto contesto
Esempi: Germania, Stati Uniti, Francia
Le culture ad alto contesto preferiscono andare dritti al punto senza tanti giri di parole. Le informazioni richieste e fornite sono precise e chiare. Esiste una maggiore formalità, l’email è considerata un mezzo di comunicazione rapido e conciso e un approccio poco personale non deve essere interpretato come un segno di scortesia o freddezza.

Culture a basso contesto
Esempi: Cina, Giappone, Spagna
Le culture a basso contesto prediligono uno scambio di informazioni più dettagliato e un approccio più personale e informale. L’enfasi è posta sul rapporto interpersonale e non solo sul piano professionale. Prova a personalizzare l’email per stabilire una maggiore connessione con l’interlocutore, aggiungendo un tocco personale (esempi: “Spero che il viaggio di ritorno sia andato bene”, “Congratulazioni per il lancio del nuovo prodotto!”).

Il tempo e il fuso orario
La puntualità è sempre apprezzata, soprattutto quando si tratta di scadenze e tempistiche da rispettare. Anche la rapidità di risposta conta molto nello scambio di email.
Se rispondi alla email di un potenziale partner o cliente cinese dopo un giorno, considera che per lui sono trascorsi due giorni. Non dimenticare mai che il fuso orario influenza il tempo che intercorre nelle relazioni scritte.

Se mostri una maggiore sensibilità a questi aspetti quando scrivi email di lavoro, non solo riesci ad ampliare i tuoi orizzonti, ma hai anche la possibilità di stabilire rapporti professionali solidi e duraturi con chi sta dall’altra parte dello schermo.

Contatto fisico e distanza interpersonale: le differenze culturali

Con la comunicazione interculturale impari ben presto che il linguaggio del corpo varia a seconda delle culture. Oltre ad aspetti come la gestualità, la mimica e la postura, le differenze culturali si riflettono anche nella distanza fra due o più interlocutori e nel contatto fisico.

In genere la distanza interpersonale è maggiore quando non c’è confidenza o intimità. In un rapporto professionale la distanza fra due persone aumenta in virtù del contesto formale in cui si trovano gli interlocutori.

Ma il contatto è spesso inevitabile in molte culture asiatiche e in grandi città densamente popolate. Ad esempio, la distanza interpersonale è ridotta o quasi assente sui mezzi pubblici e non è diffusa la tendenza a scusarsi o a chiedere permesso, come invece fanno gli inglesi.

Ricordo che tempo fa, mentre visitavo i Musei Vaticani, mi capitò di osservare le differenze culturali proprio in una situazione di questo tipo: un cinese mi spintonò proseguendo nella sua direzione, mentre un inglese si scusò mentre mi superava senza neppure avermi sfiorato.

Per quanto il primo possa avermi infastidito, è importante non far scattare questo giudizio che, in virtù del nostro filtro culturale, sarebbe automatico: il primo visitatore è stato un maleducato, il secondo una persona cortese. Senza dubbio non bisogna generalizzare, ma ricorda che emettere giudizi sulle differenze culturali è una dimostrazione di ignoranza.

Inoltre il contatto fisico è più diffuso nella cultura araba, in quella brasiliana e nelle culture latinoamericane piuttosto che in quelle occidentali.

Invece nella cultura indiana si tende a evitare il contatto fisico tra uomini e donne, in quanto il rapporto fra i sessi è soggetto a convenzioni piuttosto rigide. Pertanto uomini e donne non si sfiorano in pubblico e nei contesti formali si mantiene una maggiore distanza.

E a te è mai capitato di osservare le differenze culturali di questo tipo?

3 capacità (non linguistiche) per comunicare con un’altra cultura

La comunicazione interculturale è alla portata di tutti?
Per rispondere a questa domanda, ho individuato tre requisiti necessari per comunicare efficacemente con un’altra cultura.

Si tratta di aspetti che vanno al di là delle lingue. Se non hai ottime competenze linguistiche, non è detto che tu non sappia comunicare con un potenziale cliente straniero, perché l’aspetto linguistico non è l’unico che influisce sulla comunicazione.

Infatti, anche se non conosci la lingua del tuo interlocutore straniero, puoi farti affiancare da un interprete professionista che ti permetterà di superare le barriere linguistiche. E tu puoi concentrarti su altri aspetti, come la comunicazione non verbale e il linguaggio del corpo, per conquistare il potenziale cliente o partner d’affari di un’altra cultura.

L’atteggiamento essenziale per una comunicazione interculturale efficace è la curiosità: rispettare l’interlocutore, mostrare apertura e tolleranza nei suoi confronti e non giudicare le differenze culturali.
Inoltre esistono altri elementi che dimostrano la tua capacità di interagire con un interlocutore straniero.

Questi sono i requisiti indispensabili per comunicare con un’altra cultura:

1. Capacità relazionali
Ti piace interagire con persone di un’altra cultura? Oppure ti senti a disagio a causa delle differenze culturali, nonché di quelle linguistiche?
Sono domande che ti devi porre per capire se relazionarti con l’interlocutore straniero suscita il tuo interesse e un desiderio di scoperta, fa risvegliare un diverso tipo di coinvolgimento, oppure scatena sensazioni di imbarazzo e difficoltà che inibiscono qualsiasi tentativo di interazione.

2. Empatia
L’empatia non è una qualità che riguarda soltanto la comunicazione con un interlocutore straniero, bensì con una persona qualsiasi.
Riesci a metterti nei panni dell’altro? Chiediti se sei in grado di guardare la realtà con occhi diversi, uscendo dal tuo solito orizzonte di pensiero, e immaginare la situazione dalla prospettiva dell’altro.

3. Adattabilità
Sei in grado di tollerare l’ambiguità, l’incertezza e l’imprevisto in uno scambio interculturale?
Devi adattare il tuo comportamento alle esigenze del momento e avere un atteggiamento flessibile, analizzando le reazioni della controparte e adeguando il tuo atteggiamento.

Se non possiedi queste capacità, niente panico: è possibile svilupparle e migliorarle col tempo.
Occorrono studio, tramite la lettura approfondita di pubblicazioni, articoli e guide, e tanta pratica, che puoi acquisire lavorando all’estero o in contatto con colleghi e clienti di un’altra nazionalità.

Non giudicare sbagliato ciò che non conosci, prendi l’occasione per comprendere.
Pablo Picasso

Cosa regalare e non regalare a un cliente o collega straniero

Mancano poche settimane a Natale e siamo già in fermento per la caccia al regalo. E non pensiamo solo a cosa regalare a parenti e amici, ma anche a colleghi o clienti, vero?

cosa regalareAllora vorrei soffermarmi su alcune buone norme internazionali che riguardano i regali. Magari stai pensando di non scrivere un semplice biglietto di auguri a un cliente o collega di un’altra nazionalità, vorresti regalargli qualcosa, ma hai una serie di dubbi. Del resto è già difficile scegliere un bel regalo per una persona cara, quindi come si fa a capire qual è il regalo più adatto a una persona di un’altra cultura?

Bisogna tenere presente le consuetudini perché il modo di offrire e ricevere un regalo, nonché l’oggetto stesso da regalare, cambia a seconda della cultura.

Per evitare di mettere a disagio l’interlocutore e fare regali inopportuni che possono creare imbarazzo a entrambe le parti, sarebbe meglio avere competenze di comunicazione interculturale così da avere una certa familiarità con le usanze di ciascuna cultura.

Vuoi spedire un regalo a un collega o cliente straniero che vive in un’altra parte del mondo? Ricorda queste norme di etichetta che possono davvero fare la differenza!
  • Un regalo costoso non è benaccetto nel rapporto d’affari con un inglese.
  • Non inserire mai il biglietto da visita nel regalo offerto a un francese. Scegli un regalo di qualità e confezionato con cura.
  • Un tedesco gradisce oggetti per l’ufficio. Devi evitare accessori o profumi, perché sono considerati troppo personali.
  • Regalare oggetti stravaganti mette a disagio uno spagnolo. Scegli un regalo ben confezionato.
  • Evita di fare doni troppo personali a un americano.
  • Il russo apprezza i regali locali. Gli uomini gradiscono molto gli alcolici, soprattutto se forti e caratteristici del Paese d’origine.
  • Non regalare mai alcolici a un arabo.
  • Il nero e il bianco sono considerati colori nefasti da un indiano. Evita di usarli per la confezione del regalo.
  • Non regalare un orologio a un cinese. L’orologio è un memento mori che evoca il trascorrere inesorabile della vita. Inoltre evita il colore bianco, anch’esso associato alla morte.
  • Il regalo è un elemento fondamentale nel rapporto d’affari con un giapponese. Vengono soprattutto apprezzati i regali caratteristici del Paese d’origine e di modesto valore economico.
E ora forza, corri a scegliere cosa regalare!

Abbigliamento e differenze culturali

Sai bene che l’abbigliamento ha un ruolo importante nelle impressioni che suscitiamo nell’altro. Ma non solo: bisogna prestare particolare attenzione all’abbigliamento soprattutto quando interagiamo con un interlocutore straniero in un contesto professionale.

Infatti le differenze culturali non riguardano soltanto aspetti come gli stili comunicativi, il linguaggio del corpo e la concezione del tempo, ma anche ciò che caratterizza l’abbigliamento formale, che è richiesto in occasione di fiere, trattative di lavoro e incontri d’affari.

L’abbigliamento formale di un uomo è costituito da camicia, pantaloni, giacca e cravatta. Invece la donna indossa uno dei simboli dell’eleganza femminile: un tailleur con gonna o pantaloni.

Tuttavia, esistono differenze culturali relative all’abbigliamento formale persino tra le culture occidentali. Ad esempio, l’abito formale di un americano è di un unico colore (nero, grigio o blu) e non può essere spezzato, con giacca e pantaloni di colori diversi, a differenza della consuetudine italiana.

L’abito spezzato non è formale neppure per un giapponese e un cinese. Per un cinese l’abito formale è sempre scuro con camicia bianca.

Le culture emergenti (e la Cina in particolare) non apprezzano il jeans indossato da un europeo, anche elegante e griffato, che è sempre associato a un contesto informale e non professionale. Eppure molti si ostinano a indossare il jeans in situazioni formali di carattere multiculturale, tutt’altro che consapevoli della brutta impressione suscitata.

Dovremmo invece e ricordare che possiamo comunicare e mostrare rispetto nei confronti dell’interlocutore straniero anche in base a come ci vestiamo.

E ora dimmi: in passato hai fatto caso al ruolo fondamentale dell’abbigliamento in un contesto multiculturale? Se hai qualche aneddoto a tale proposito, potresti raccontarlo nei commenti.

Ti andrebbe di scoprire altre curiosità sulle differenze culturali relative all’abbigliamento?
Ho approfondito questo aspetto ne La tua Guida Pratica alla Comunicazione Interculturale, che è disponibile a prezzo ridotto fino al 31 ottobre 2015.

Allora forza, aspetto una tua email. ♥