Il paradosso dell’intelligenza culturale

L’intelligenza culturale è la capacità di adattarsi e mostrare flessibilità in contesti caratterizzati da differenze culturali.

Si acquisisce con l’esperienza e la formazione, non è una dote innata. Richiede apertura mentale e consiste nell’uscire dalla propria bolla culturale.

In un periodo storico in cui la prospettiva da cui si guarda il mondo è considerata, ahimè, l’unica valida e giudicante, uno sguardo che contempla tutte le sfumature che ci circondano dimostra maturità.

Ma c’è un paradosso in tutto questo, la cui parola chiave è adattamento.

L’intelligenza culturale presuppone che ci si adegui a un contesto culturale contraddistinto dalla diversità.
In tal modo, non si pregiudica la legittimità dei propri valori, usanze e abitudini culturali? Del resto, la diversità di questo contesto include anche la propria cultura di appartenenza.

Andiamo nel dettaglio per capire meglio questo paradosso.

Se sei una persona che rispetta abbastanza gli orari concordati, perché dovresti essere tu a tollerare i ritardi degli altri? Perché è preferibile la puntualità da parte tua senza darla per scontata nel prossimo?
Se le differenze culturali contemplano l’autenticità dei propri valori e usanze, perché devi essere tu ad adattarti a un determinato contesto?

L’adattamento culturale non compromette l’autenticità?

In questa sfilza di domande, per me l’interrogativo chiave è questo: quanto occorre adattarsi quando si interagisce con altre culture?

Tutto parte dal tuo obiettivo. Il mezzo per raggiungerlo è un cambiamento di prospettiva.
Si tratta di mettere in pratica le competenze necessarie per portare a termine una missione, dal negoziare una proposta fino a ricevere la conferma di un progetto.

Segui la tua bussola interiore

Ti faccio un esempio.

Amo la puntualità, rispetto sempre l’orario stabilito e, anzi, gioco d’anticipo, non solo per la consegna di un progetto di lavoro ma anche nella vita personale.

Se devo interagire con persone che non rispettano la puntualità, come le culture latinoamericane, dovrei adattarmi al loro modo di fare e non sentirmi frustrata dal ritardo [per approfondire, iscrivendoti alla mia newsletter riceverai il file scaricabile 5 consigli per una riunione con un cliente straniero che tratta anche questo aspetto].

Abbiamo fissato una videoconferenza alle 16:00? In questo caso, so che il mio interlocutore non sarà puntuale e che dovrò aspettare una mezz’oretta.

Allora mi adatto. Magari non sarò già pronta a iniziare la videoconferenza alle 15:50, come farei di norma, e spaccherò il minuto dell’orario stabilito per ridurre il tempo in cui dovrò attendere il mio interlocutore.

Il motivo?
Perché presentarmi in ritardo, anche se so che l’altro non sarà puntuale, contraddice il valore che io do al tempo.
Quindi mi adatto al contesto specifico senza compromettere la mia autenticità.

Viviamo un mondo di complessità in cui non è tutto bianco o nero, bensì impreziosito da sfumature, tutte valide, tutte importanti. 🙂

Lavorare con altre culture: una questione di fiducia

Cosa lega i rapporti di lavoro più di ogni altra cosa?

La fiducia.

Una volta stabilita, la fiducia facilita le negoziazioni perché si impiega meno tempo ed energia nell’analisi del potenziale cliente o partner d’affari.

Ma come nasce?

Non da una stretta di mano o dal semplice passaparola. E le cose diventano più complesse quando si intende avviare una collaborazione con qualcuno di un’altra cultura.

Allora come si decide di fidarsi di un potenziale partner estero per stabilire un rapporto di lavoro?

Tutto varia in base ai fattori culturali e dipende da quanto si è incline a fidarsi degli altri nei rapporti sociali quotidiani.

Le differenze culturali influiscono sulla percezione della fiducia

Europa e Nord America

Le culture occidentali tendono a fidarsi del prossimo fino a prova contraria, anche in ambito lavorativo. Nonostante tale apertura nei confronti dell’altro, in genere si predilige verificare l’affidabilità di un potenziale partner o cliente o la credibilità di un’azienda.

Inoltre si preferisce separare l’aspetto personale da quello lavorativo. Pertanto la cordialità reciproca e la simpatia dell’interlocutore d’affari non corrispondono necessariamente a un rapporto solido: la sfera sociale è scissa da quella professionale.

Un rapporto cordiale va a beneficio di entrambe le parti, però non è la condizione essenziale per una collaborazione.

Estremo Oriente

In Estremo Oriente, la fiducia si basa sulla reputazione: occorre verificare la reputazione di un potenziale partner d’affari prima di avviare un’eventuale collaborazione.

Per farlo, un’azienda giapponese o coreana tende a fidarsi di quest’ultimo se c’è una terza parte coinvolta, nota a entrambe le parti. È essenziale non perdere la faccia, quindi la reputazione va preservata.

Poi occorre verificare le competenze.

Dato che queste culture non tollerano un no esplicito, talvolta tendono ad affermare di essere in grado di svolgere determinate mansioni o attività. Così occorre metterle alla prova dei fatti e appurare se tali competenze sono reali.

In caso di esito positivo, il passo successivo è socializzare: una cena d’affari dopo un incontro importante e le occasioni conviviali vengono incoraggiate per unire la sfera sociale a quella professionale.

Medio Oriente

Il rispetto è alla base della fiducia. Anche se l’altro non condivide i propri valori, ciò non impedisce di instaurare un rapporto di lavoro. La condizione fondamentale è mostrare rispetto per tali valori, benché non condivisi.

Come per le culture dell’Estremo Oriente, si verifica la reputazione di un potenziale partner o cliente prima di avviare una collaborazione. Le informazioni positive raccolte devono essere verificate, non vengono date per scontate.

Poi il rapporto si consolida confrontandosi su altri argomenti che esulano dal rapporto d’affari. Non si tratta soltanto di convenevoli, ma di un effettivo scambio di punti di vista in un contesto di convivialità.

America Latina

Il rapporto sociale precede quello professionale. Si cercano le similitudini, i valori condivisi, basando poi la collaborazione su tali affinità.

La fiducia si costruisce parlando ad esempio delle proprie famiglie o dei propri interessi, ossia ricorrendo ad argomenti in cui è difficile non essere sinceri. Dall’apertura e dalla trasparenza dimostrata in questo modo, nasce la fiducia necessaria per parlare di lavoro soltanto in un secondo momento.

Paese che vai

Ovviamente si tratta di principi generali per capire come muoversi. La loro rilevanza dipende dal caso specifico, dalla cultura di chi hai di fronte, dal settore merceologico.

Ma alla base della fiducia ci sono sempre questi quattro elementi: rispetto, reputazione, apertura e competenze.

Come gestire un incontro virtuale fra persone di culture diverse

A causa dell’emergenza sanitaria, molte riunioni e incontri sono approdati online durante il confinamento.

La necessità di continuare a garantire il distanziamento fisico induce a proseguire in questa direzione. Così gli incontri virtuali, non soltanto nel B2B, avvengono su Zoom, GoToMeeting, Webex e Skype.

Se i partecipanti parlano lingue diverse, la prima cosa da fare è ricorrere a un interprete professionista che opererà da remoto.

Anche se la piattaforma è online, entrano in gioco più o meno gli stessi fattori dei meeting in presenza, incluse le differenze culturali fra gli interlocutori, ossia collaboratori, clienti effettivi o potenziali, partner di culture diverse.

Ad esempio, cambiano le aspettative e gli stili comunicativi.

Come gestire le differenze culturali che si manifestano negli incontri virtuali?

Evitare i ritardi

Non ci sono scuse sul traffico o il ritardo dei mezzi pubblici che ti hanno impedito di arrivare puntuale al luogo della riunione. L’incontro è virtuale e dovresti organizzarti con il giusto anticipo per essere puntuale.

Infatti la concezione del tempo e la puntualità variano da una cultura all’altra: la puntualità è un requisito essenziale per un tedesco o un inglese, mentre è poco rispettata da un italiano o uno spagnolo.

Dopo aver fissato l’orario dell’incontro tenendo conto del fuso orario (e averlo specificato chiaramente), occorre rispettarlo a tutti i costi.

Meglio giocare d’anticipo per verificare la connessione internet e le impostazioni audio e video, evitando di perdere tempo con problemi tecnici che ritardano l’inizio della riunione.

Non rispettare il tempo dell’altro è un atto sgarbato ed egoista: con il tuo ritardo stai sprecando il suo tempo. Ed è un pessimo punto di partenza.

Concedere spazio ai convenevoli

Per alcune culture il tempo è denaro. Ad esempio, gli americani vanno subito dritti al punto per evitare di perdere tempo.

Invece per molte culture latinoamericane, arabe e orientali, occorre lasciare spazio ai convenevoli prima di andare al cuore della questione, perché si tratta di una forma di garbo.

Alla luce della pandemia che ha colpito tutto il pianeta, chiedere all’interlocutore come sta è una gentilezza da non trascurare che dimostra l’interesse per il suo benessere.

Esplicitare le regole della videoconferenza

Prima di passare ai punti all’ordine del giorno, è meglio chiarire come si svolgerà l’incontro virtuale: tenere il microfono muto durante l’intervento di un partecipante, alzare la mano o scrivere nella chat per prenotare un intervento, porre le domande alla fine di una presentazione.

L’interruzione è mal tollerata soprattutto nel contesto virtuale.

Rispettare i turni di parola

Non bisogna interrompere chi parla, il che può essere difficile per un italiano o un latinoamericano che tendono a introdursi in un intervento per dire la propria.

Se questa tendenza è generalmente considerata come una dimostrazione di scortesia e maleducazione, online è ancora più evidente e crea fastidiosi accavallamenti: tra i ritardi dell’etere, l’effetto eco e le voci che si sovrappongono, la concentrazione cala, si perde il filo del discorso e anche la pazienza.

Non dimenticare il follow up

Dato che gli incontri virtuali richiedono più energia e concentrazione di quelli in presenza, non è detto che tutti abbiano assimilato i punti trattati.

Allora è preferibile un follow up per iscritto alla fine della riunione: condividere i file di lavoro opportunamente tradotti, sollecitare commenti scritti e proseguire la conversazione per email, soprattutto se qualche partecipante si è sentito escluso o non è intervenuto durante la videoconferenza.

Vorresti approfondire?

Iscrivendoti alla mia newsletter, potrai scaricare gratuitamente il file 5 consigli per una riunione con il cliente straniero che ti permetterà di prepararti al meglio su questi punti.

Esci dalla tua bolla culturale

Ognuno di noi vive in una bolla, che in genere oggi assume i contorni di ciò che accade online.

I social media filtrano la vita, fanno passare alcune cose mentre si tace su altre e si finisce per osservare la vita dell’altro che appare così perfetta e instagrammabile.

Eppure è soltanto una (drammatica) bolla. Ce ne sono altre, come la bolla culturale.

Cos’è la bolla culturale?

È il modo in cui guardi il mondo filtrato dalla tua cultura di appartenenza.

Proprio come sui social i tuoi valori, opinioni e credenze sono consolidati dal feed personalizzato, anche in questo caso ti limiti a ciò che è già parte della tua cultura. Del resto tendi a seguire chi ha un’opinione simile alla tua e tali idee si irrobustiscono perché trovano conferma nelle poche fonti a cui ti affidi ogni giorno.

Ecco il paradosso: internet spalanca una finestra più grande sul mondo, ma in realtà restringe il campo visivo.

“Dobbiamo sempre guardare le cose da angolazioni diverse”

Ricordi L’attimo fuggente?

Il professor Keating diceva agli studenti: “È proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un’altra prospettiva“.

Se guardi le cose da un’angolazione diversa, impari a non cadere nella trappola del giudizio.

Riconoscere e capire i vari punti di vista ti aiuta a comprendere valori, usanze e differenze culturali. Certo, sono diversi dai tuoi, nessuno ti chiede di condividerli, ma non puoi giudicare qualcosa come inferiore o sbagliato semplicemente perché è diverso.

Si tratta di uscire dai confini della tua tribù, una comunità ristretta con cui condividi valori, usanze e convinzioni, e guardare dagli occhi dell’altro.

Mutando prospettiva, ti accorgi che esistono aspettative, bisogni, desideri, esigenze e priorità differenti. E se lavori con clienti, fornitori o partner di altre lingue e culture, tutto questo ti aiuta a raggiungere compromessi e accordi, a risolvere conflitti e a negoziare con maggiore consapevolezza.

Questa empatia è essenziale in un contesto multiculturale, un luogo tutt’altro che frustrante da abitare. Perché ci ricorda la complessità intrinseca di cui siamo fatti e che siamo la somma di tutto ciò che incontriamo sul nostro percorso.

Un percorso che non ha le pareti sottili di una bolla, ma che si perde nella vastità dell’orizzonte.

Puoi fare gli auguri di Natale a chi non lo festeggia?

 

Gli ultimi giorni prima di Natale sono una corsa: ai regali, ai preparativi, agli appuntamenti. E la situazione in ambito lavorativo è la stessa (o peggio) perché è l’ultimo sprint finale prima di qualche giorno di pausa.

Così bisogna incastrare gli ultimi progetti da chiudere, le consegne, gli aperitivi con i colleghi, le cene aziendali. E non dimenticare i messaggi di auguri ai clienti.

Gli auguri di Natale ai clienti

Scrivere un messaggio di auguri ai clienti alla fine dell’anno è un momento che mi piace molto. Raccolgo le idee, ripenso ai tanti progetti curati nell’anno che sta finendo, alle comunicazioni che si sono susseguite e dedico del tempo alla scrittura di un messaggio personalizzato per ciascun cliente.

La gratitudine non deve essere sottovalutata. Se un cliente ha scelto te e continuate a collaborare da un po’ di tempo, dedicargli un messaggio di auguri per le feste natalizie vi avvicina ancora di più. Puoi farlo per email o magari con una cartolina stampata e un bel messaggio scritto a mano.

E chi non festeggia il Natale?

Se hai clienti all’estero forse temi di non rispettare le differenze culturali perché magari non festeggiano il Natale. Del resto ci sono usanze e tradizioni diverse a seconda delle culture. Ad esempio:

  • In Giappone si punta sul lato commerciale della festa. Si fanno regali e non manca la versione nipponica di Babbo Natale, chiamato Santa Kurohsu e raffigurato con un paio di occhi anche sulla nuca. La figura è ispirata a un monaco buddista di nome Hoteiosho che porta regali ai bambini che si sono comportati bene e che ha un paio di occhi sulla nuca per controllare meglio il loro comportamento.
  • In Arabia Saudita non è permesso il culto pubblico di religioni diverse da quella islamica, quindi le decorazioni e gli addobbi natalizi non sono ammessi.
  • In Cina la festa più importante è il Capodanno, che si festeggia per due settimane verso la fine di gennaio, a seconda del calendario lunare.

Non tutti celebrano il Natale secondo la tradizione cristiana, quindi potresti avere qualche indugio nel trasmettere gli auguri ai tuoi clienti stranieri perché temi di urtare la loro sensibilità.

Buone feste!

Per andare sul sicuro, puoi optare per un augurio che riguarda le feste di fine anno, senza specificare Buon Natale o Felice Anno Nuovo.

In generale questo periodo è considerato un momento di condivisione. In ogni angolo del mondo è l’occasione di incontrare chi non vedi da tempo. Ci si riunisce, si festeggia insieme a parenti e amici e si cerca di riposare e addolcire la vita con la musica, un banchetto, un po’ di luce.

Comunicazione interculturale: la raccolta dei miei articoli

 

Culture diverse, valori diversi.
Sai che il modo in cui guardi il mondo è soltanto una delle tante prospettive possibili?

I gesti, lo sguardo, il contatto fisico, il passaggio dal formale all’informale, il galateo a tavola, l’ambiguità delle parole: le differenze culturali influenzano questi aspetti e non solo.

Per evitare gaffe e brutte figure è importante conoscerli. Soprattutto se vorresti conquistare l’interlocutore straniero per motivi professionali.

Una maggiore sensibilità verso questi aspetti è una marcia in più non solo sul piano lavorativo: guarderai la vita in modo diverso, con un pizzico di curiosità e di tolleranza nei confronti della diversità.

Ecco la raccolta di articoli dedicati a questo tema che ho pubblicato in questi anni sul blog.

Perché la comunicazione interculturale è alla portata di tutti, anche di chi ha scarse conoscenze linguistiche.

Per iniziare
3 capacità (non linguistiche) per comunicare con un’altra cultura
12 domande per sviluppare la tua curiosità interculturale
Esci dalla tua bolla culturale
Il paradosso dell’intelligenza culturale

Comunicazione non verbale
I gesti e gli italiani: la comunicazione oltre le parole
Non fare questa gaffe!
Ma è vero che sorridiamo tutti nella stessa lingua?
Contatto fisico e distanza interpersonale: le differenze culturali

Comunicazione verbale
Come tradurre il silenzio
Comunicare al telefono con uno straniero
Scrivere email considerando le differenze culturali
Quando sì significa no e potenziali disastri

Tempo, cucina, abbigliamento, regali
Viaggi: le regole del galateo a tavola nel mondo
Il tempo come fattore interculturale
Abbigliamento e differenze culturali
Cosa regalare e non regalare a un cliente o collega straniero
Il significato dei fiori nelle culture

Ti va di approfondire?

Puoi approfondire questi aspetti e tanti altri nella guida che ho scritto per aiutarti a conquistare potenziali partner e clienti stranieri.

Mandami una mail per ricevere La tua Guida Pratica alla Comunicazione Interculturale a 36,40 euro!

Quando sì significa no e potenziali disastri

Vorrei spiegarti una cosa che potrebbe sembrare paradossale ai tuoi occhi e che forse ti lascerà di stucco.
E per farlo ti racconto una breve storia.

Un docente di grafica sta tenendo una lezione in accademia a un ridotto numero di studenti, alcuni dei quali sono stranieri. Tra questi, c’è una studentessa cinese.

Il docente vuole assicurarsi che ognuno di loro abbia compreso i passaggi da eseguire, così si rivolge in privato al singolo studente e gli chiede: “Hai capito?”. La ragazza cinese risponde di sì. Ma quando esegue il compito assegnato, commette una serie di errori che dimostrano che non ha capito la spiegazione.

Allora perché aveva risposto affermativamente?

Stile diretto o indiretto

Lo stile della comunicazione può essere:
– diretto ed esplicito
– indiretto e implicito.

Le culture asiatiche hanno una maggiore tolleranza nei confronti dell’ambiguità. Per loro i giri di parole e il contesto sono molto importanti e occorre leggere tra le righe per interpretare correttamente una frase.

Lo stile diretto ed esplicito è invece tipico delle culture occidentali e mediterranee.

Queste differenze di stile si riflettono anche quando poniamo una domanda.

Posso farti una domanda?

Esistono diversi tipi di domanda, come le domande chiuse, ossia quelle a cui rispondere “sì” o “no” e che non richiedono una risposta articolata.

Per un cinese o un indiano, rispondere negativamente significa mancare di rispetto al proprio interlocutore o mettere in discussione la sua autorità.

Dato che è importante salvare la faccia, tendono a rispondere di sì anche se in cuor loro pensano l’opposto. Non è un atteggiamento servile o da yes man, bensì finalizzato a mantenere l’armonia e a non perdere la faccia.

Chi tace acconsente?

No!

Questo punto di visita è tipico degli italiani.

L’italiano esprime chiaramente il dissenso. L’affermazione del disaccordo è tipica delle culture mediterranee, mentre ad esempio gli inglesi tendono a sfumare il dissenso: hai presente quando la loro risposta inizia con “Yes…” e poi continuano con “but…”?

Fanno così perché prima sottolineano ciò su cui concordano e poi continuano la frase esprimendo ciò su cui non sono d’accordo.

Se l’altro non manifesta apertamente il proprio dissenso, non bisogna dare per scontato che sia d’accordo con te. Questa chiave di lettura è tipicamente italiana e non contraddistingue tutte le culture.

Morale:
La ragazza non aveva capito la spiegazione del docente. Ma aveva risposto di sì non perché è ottusa o bugiarda, ma per non mancare di rispetto.

Per alcune culture la risposta affermativa è una forma di riguardo ed educazione nei confronti dell’interlocutore.

Cosa fare in questi casi?

Se interagisci con qualcuno di una cultura che predilige uno stile indiretto e implicito, evita le domande chiuse. Cerca di ottenere una risposta realistica che faccia sentire l’altro a suo agio.

Sì, ci vuole un po’ di creatività. Ma del resto la comunicazione è un atto creativo. 🙂

Il francese, una storia d’amore

Il 20 marzo si celebra la Giornata Internazionale della Francofonia, che mira a valorizzare la cultura francofona e la lingua francese nel mondo.

Ti segnalo giusto un paio di dati significativi:

  • Il francese è la quinta lingua più parlata del mondo
  • Nel mondo ci sono 274 milioni di francofoni

Ma patrie, c’est la langue française.
Albert Camus

Insieme all’inglese (e ovviamente all’italiano, la mia lingua madre), il francese è la mia lingua di lavoro. Ed è una lingua che amo profondamente alla pari dell’inglese.

Tra marketing, turismo e moda, ogni giorno leggo, analizzo e traduco testi nella mia madrelingua per clienti che, guarda caso, sono per la maggior parte francesi.

Spesso noto un certo pregiudizio nei confronti di questa lingua e cultura da parte di chi mi circonda: il francese non piace a tutti, c’è chi lo ritiene simile all’italiano ma in verità troppo difficile da capire, chi rimane bloccato nella grammatica complessa, chi mastica il francese scolastico e chi preferisce trincerarsi nel cliché “i francesi sono snob”.

Quante volte si parla male dei parigini che non sono disponibili nei confronti dei forestieri? Ecco l’immagine diffusa: il forestiero chiede informazioni e il francese finge di non capire o si rifiuta di parlare inglese. Detesto questo stereotipo perché è tipico di noi italiani che dovremmo essere gli ultimi a tacciare i francesi di arroganza, visto il pessimo livello generale nelle lingue straniere.

Del resto, un forestiero che chiede informazioni a un romano non si trova generalmente di fronte a barriere linguistiche insormontabili? Quanti saprebbero rispondergli in inglese e non in italiano?

Insomma, questo atteggiamento superficiale mi fa pensare all’ostilità calcistica Italia-Francia. Essendo adulti, potremmo avere una maggiore apertura mentale, non credi? 🙂

Dopo essermi tolta questo sassolino dalla scarpa, vorrei raccontarti la mia storia d’amore con la lingua francese.

Tutto è cominciato a scuola, quando lo studio del francese alle elementari è stato il mio primo approccio con le lingue straniere. Ero la bambina che si applicava con maggiore entusiasmo nei confronti di questa lingua, di cui adoravo il suono, la pronuncia, la magia delle parole che non capivo e che poi assumevano un significato. Una caccia al tesoro, una caccia al senso e una ricerca linguistica che un giorno sarebbero diventate il mio pane quotidiano.

La scuola media è stata l’occasione di scoprire l’inglese, che ho affiancato al francese anche al liceo linguistico e all’università.

Mi piaceva andare oltre ciò che imparavo nelle cinque ore di frequenza e così le gite scolastiche, le certificazioni linguistiche e i soggiorni all’estero sono stati l’occasione di toccare con mano la lingua vera, quella che esiste oltre i testi scolastici: gli insegnanti madrelingua, i parigini, i monumenti, i negozi, i musei, i viaggi. Un universo così vivido che mi ha fatto perdere la testa per la musicalità della lingua, l’eloquio rapido e la raffinatezza che mi ispira il francese.

Mi sono innamorata della cultura francese anche con la letteratura. Uno dei primi approcci è stato Notre-Dame de Paris di Victor Hugo e lo splendido musical che ha rapito il mio immaginario da ragazzina quando, oltre alla versione italiana di Riccardo Cocciante, ho perso la testa per la versione originale in francese.

A 18 anni ho avuto una vera e propria folgorazione per Albert Camus, che ancora oggi è il mio scrittore preferito, su cui ho poi basato la tesi di laurea in Mediazione Linguistica.

E negli anni in cui ho scoperto il cinema francese, ho cementato il mio amore per questa lingua e cultura all’università: traduzioni, potenziamento della grammatica, terminologia specialistica, storia della lingua e letteratura francese e una splendida docente francese che mi ha trasmesso un’etica professionale inestimabile.

Oggi mi ritengo privilegiata nel lavorare con il francese e con clienti che sono fieri della loro lingua. Pensa che i francesi traducono tutto, francesizzano praticamente ogni termine straniero. Invece noi abbiamo un tale servilismo nei confronti dell’inglese da introdurre anglicismi e inglese maccheronico quando parliamo e scriviamo.

Insomma, sarebbe meglio scendere dal piedistallo con cui si giudicano i francesi per la loro altezzosità o distacco. Il metro di misura? La socievolezza e l’espansività sono tipici della nostra cultura, ma il comune denominatore tra le due culture è il rispetto. Che per i nostri cugini è una certa riservatezza e cortesia manifesti in quel “vous” ampiamente diffuso, a differenza del nostro darci del tu con maggiore frequenza.

Paese che vai… 😉

Sage est le juge qui écoute et tard juge
(Saggio è il giudice che ascolta e tardi giudica)

12 domande per sviluppare la tua curiosità interculturale

La curiosità interculturale è l’atteggiamento di apertura nei confronti delle differenze culturali.

Come puoi sapere se sei animato da questo tipo di curiosità oppure se temi che i tuoi valori siano messi in discussione dalla diversità?

Forse pensi di avere questo tipo di apertura mentale e lo dici anche ad alta voce, ma in realtà preferisci restare nel tuo sicuro mondo di certezze per non compromettere la tua visione.

Come dico sempre, la comunicazione interculturale è alla portata di tutti, anche di chi ha scarse conoscenze linguistiche.

Così ho preparato alcune domande per aiutarti a scoprire se hai un pizzico di curiosità interculturale e a sviluppare questo atteggiamento.

Magari alcune di queste domande ti faranno sentire un po’ a disagio. Ma non è un’interrogazione, nessuno ti obbliga a rispondere ad alta voce o per iscritto.
Puoi riflettere in silenzio su ciascuna domanda e rispondere in cuor tuo. Nessuno ti giudicherà, puoi fare questo esercizio in completa autonomia.

Iniziamo!

  • Ascolto attivamente l’altro?
  • Mi piace scoprire qualcosa di nuovo sulle altre culture?
  • Dedico del tempo alla ricerca e alla comprensione delle differenze culturali?
  • Tendo a giudicare ciò che è diverso da me?
  • Che cosa provo quando scopro valori diversi da quelli della mia cultura?
  • Nella cerchia delle mie conoscenze, ci sono persone di altre nazionalità?
  • Riesco a mettermi nei panni dell’altro?
  • Come reagisco se commetto una gaffe a causa delle differenze culturali?
  • Cerco attivamente nuove occasioni di confronto con qualcuno di un’altra cultura?
  • Sono disposto a mettere in discussione la mia visione del mondo?
  • Mostro apertura nei confronti della diversità?
  • Quali opportunità posso sfruttare per interagire con persone di una cultura diversa dalla mia?

Di certo non è stato facile rispondere a ogni quesito, ma spero che adesso le tue idee siano più chiare.

Se ti va di condividere cosa hai scoperto rispondendo a queste domande, aspetto la tua riflessione nei commenti. 🙂

Dalla traduzione alla corrispondenza: tu o Lei? E vous?

È una questione dibattuta: come rivolgersi al cliente? Come tradurre “you” o “vous” in italiano?

Perché se la nostra lingua ci aiuta a fare una distinzione precisa tra il Lei di cortesia, tu e voi (inteso al plurale, eh! Perché Voi di cortesia è un retaggio letterario, ma anche meridionale e del fascismo), l’inglese e il francese mantengono una certa ambiguità… eppure non è un dilemma irrisolvibile.

Vous per la Francia!

La chiamavano Madame Lippolis. 😀

Proprio così, un cliente francese mi chiama “Signora Lippolis”. Questo appellativo mi metteva un po’ a disagio soprattutto all’inizio, perché “signora” non mi piace neppure in italiano. Ma è una questione di abitudine e il Lei di cortesia, che in francese corrisponde a vous, è la forma più diffusa.

I clienti francesi mi danno del vous. Sempre. Anche se collaboriamo da qualche anno, ci sentiamo diverse volte alla settimana e nelle email che scriviamo ci chiamiamo per nome.
Questa forma di cortesia reciproca è tipica dei francesi. Ci si dà del tu molto raramente in ambito professionale, perché tu è riservato a qualcuno che conosci bene, ad amici, parenti e familiari.

Non si tratta di freddezza o di stabilire una distanza invalicabile: è una grande forma di rispetto nei confronti dell’interlocutore.

Un esempio tratto dalla mail di una cliente:

Bonjour Raffaella,
Plaisir partagé ! Je suis ravie de travailler avec vous !

Con i clienti inglesi e americani c’è una maggiore confidenza: ci chiamiamo per nome, lo stile e i saluti sono più informali. Ciò avviene anche con interlocutori di altre nazionalità, come un Project Manager spagnolo con cui ho una corrispondenza in inglese.

E invece gli italiani?
Prevale il tu, sia nel caso dei clienti che conosco di persona sia nella corrispondenza con clienti a centinaia di chilometri di distanza e che non ho mai incontrato. Ma ci sono delle eccezioni, soprattutto legate all’età, come nel caso della titolare di un’agenzia di traduzioni italiana che mi dà del Lei: ovviamente anch’io uso questa forma di cortesia, vista la differenza d’età.

La traduzione dal francese

Quando traduco dal francese, vous è la forma più utilizzata nel testo di partenza. Ma in italiano può essere tradotto con voi (seconda persona plurale), Lei e tu.

Come si fa a scegliere?
Dipende dal contesto – come per qualsiasi cosa nella traduzione! – e dalle preferenze di ciascun cliente. Per evitare di sbagliare e utilizzare uno stile improprio, sarebbe meglio avere un file in cui specificare le preferenze di ognuno. 😉

E tu? Quale registro usi con i tuoi clienti o collaboratori?