tempo differenze culturali

Il tempo come fattore interculturale

Il tempo è un aspetto complesso della comunicazione interculturale.
La puntualità e le sue variabili, il multitasking, l’organizzazione rigorosa della scaletta e dell’ordine del giorno: questi elementi cambiano da una cultura all’altra e hanno un peso notevole nelle trattative.

Ad esempio, io sono una persona che non tollera i ritardi. La puntualità è un requisito che ritengo essenziale nei rapporti interpersonali e, a maggior ragione, nel contesto lavorativo.

Quindi conoscere la concezione del tempo tipica di una cultura significa imparare a gestire un fattore delicato ed evitare incomprensioni che influenzano i rapporti professionali.

Il tempo è denaro?
  • Per gli occidentali, in particolare gli americani, il tempo è denaro: si va dritti al punto, al cuore della questione. In una trattativa non bisogna perdere tempo.
  • Per i russi il passaggio dai convenevoli ai discorsi di lavoro è proposto da chi occupa la posizione gerarchica più elevata.
  • Per molte culture orientali e latinoamericane è invece indispensabile lasciare spazio ai convenevoli prima di andare al punto.
  • Anche gli indiani e i nordafricani considerano i convenevoli come una dimostrazione di rispetto e interesse reciproco. Quindi se l’occidentale va dritto al punto, il nordafricano, l’asiatico e il latinoamericano avvertono questo approccio come un’offesa.

Come vedi, la situazione è decisamente ricca di spunti.

Ti piacerebbe approfondire l’argomento?

La gestione del tempo è un aspetto che ho approfondito ne La tua Guida Pratica alla Comunicazione Interculturale.

Hai ancora un paio di giorni di tempo per avere La tua Guida Pratica alla Comunicazione Interculturale a prezzo scontato. Che ne diresti di approfittarne subito?

Comunicazione interculturale: non fare questa gaffe!

Mi occupo di comunicazione interculturale, quindi non posso fare a meno di osservare il linguaggio del corpo che rivela così tanto della persona che ho di fronte.

E benché essere consapevoli di ciò che comunichiamo con il corpo sia un aspetto importante delle nostre relazioni, questa consapevolezza diventa cruciale nel contesto professionale soprattutto quando interagiamo con un’altra cultura.

Un’espressione del viso, un gesto, la postura assumono significati profondamente diversi nelle varie culture. E se non ne siamo consapevoli, rischiamo di commettere gaffe ed errori imbarazzanti che possono anche compromettere la trattativa con il potenziale partner o cliente straniero.

Questo è un caso eclatante che ho segnalato ne La tua Guida Pratica alla Comunicazione Interculturale: una visita ufficiale del premier Renzi negli Emirati Arabi che risale a gennaio 2015.
Nella guida ho scritto:

[…] non bisogna incrociare o accavallare le gambe quando si interagisce con un arabo. Mostrare la suola delle scarpe indica disprezzo e comunica un insulto alla cultura araba.

Ora guarda l’immagine qui sopra tratta dalla guida. ↑

Capisco che siamo abituati ad accavallare le gambe e lo facciamo quasi senza farci caso, ma qui si tratta di una vera e propria gaffe.
Dobbiamo dimostrare di conoscere i valori culturali di chi abbiamo di fronte e rispettare la diversità. In particolare quando siamo in un altro Paese.

comunicazione-interculturale-gaffe

Per questo insisto sull’importanza delle competenze della comunicazione interculturale.

Non tutti sono in grado di parlare fluentemente l’inglese – ecco perché esistono gli interpreti professionisti che ti possono affiancare – ma acquisire tali competenze interculturali, che vanno oltre la lingua, è alla portata di tutti, anche di un imprenditore che non conosce le lingue straniere.

Mi piacerebbe aiutarti nel mio piccolo. Ed è per questo che ho scritto La tua Guida Pratica alla Comunicazione Interculturale.
Coraggio! Aspetto una tua mail e la guida sarà tua.

Comunicazione interculturale: la tua guida pratica!

Qualche settimana fa avevo detto che stavo lavorando a un nuovo progetto previsto per la primavera. E il giorno atteso è finalmente arrivato!

Oggi ti presento La tua Guida Pratica alla Comunicazione Interculturale, un testo chiaro e utile per interagire in modo impeccabile con le altre culture.

La guida è finalizzata a fornirti le conoscenze indispensabili per conquistare clienti esteri, partner stranieri e migliorare il tuo approccio interculturale al di là delle barriere linguistiche.

Infatti questa guida è rivolta non solo ai professionisti delle lingue straniere, ma anche agli imprenditori con poche conoscenze linguistiche.

E sai perché?
Perché ne La tua Guida Pratica alla Comunicazione Interculturale troverai suggerimenti e indicazioni pratiche per utilizzare al meglio il linguaggio del corpo e scoprire cosa comunichi in modo inconsapevole, nonché conoscere il diverso significato culturale di gesti, postura, sguardo e tanto altro, evitando brutte figure e facendo un’ottima impressione sul tuo interlocutore straniero.

Il passo successivo? Conquistarlo nella trattativa commerciale mostrando di conoscere:

  • il modo più opportuno per gestire i tempi di lavoro (perché anche il tempo è un fattore influenzato dalla cultura);
  • gli stili comunicativi (il ruolo del silenzio, le domande chiuse, le interruzioni nella conversazione…).

E poi potrai apprendere le regole fondamentali da rispettare a tavola durante un pranzo o una cena di lavoro con il potenziale cliente estero, perché le buone norme cambiano a seconda delle culture.

La tua Guida Pratica alla Comunicazione Interculturale è un valido strumento se ad esempio partecipi a fiere di settore, come Cosmoprof o l’imminente Expo2015.
Ti invito quindi ad approfittarne, dato che puoi acquistarla a tariffa ridotta fino al 30 aprile!
Oppure puoi utilizzare la guida per ragioni personali, come bagaglio di conoscenze da mettere in pratica quando viaggi all’estero anche per motivi che esulano dal lavoro.

Per saperne di più, scoprire se la guida fa per te e leggere un’anteprima, ti invito a consultare l’apposita pagina qui sul sito!

Arricchiamoci delle nostre reciproche differenze.
Paul Valéry

Gli Oscar 2015 celebrano le differenze culturali

Gli Oscar 2015 si sono conclusi e, fra i meritati vincitori, spiccano i momenti che celebrano le differenze culturali che arricchiscono il cinema e la vita.

Sono rimasta piacevolmente colpita dall’apporto multiculturale di questa edizione degli Oscar. Al di là dell’esito e dei meriti dei vincitori (che condivido quasi in toto), la notte più importante del cinema ha rivelato l’importante contributo delle differenze culturali nel panorama cinematografico.

La multiculturalità del cinema agli Oscar 2015 è indubbiamente evidente nelle varie nazionalità dei vincitori, dall’italiana Milena Canonero (Migliori Costumi) al francese Alexandre Desplat (Migliore Colonna Sonora), fino al trionfo del Messico con lo straordinario Birdman che ha conquistato 4 Oscar conferiti a talenti messicani per la Migliore Fotografia (del grande Emmanuel Lubezki), la Migliore Sceneggiatura Originale, la Miglior Regia e il Miglior Film.

Molti non hanno apprezzato la battuta di Sean Penn quando ha aperto la busta per annunciare il vincitore del Miglior Film. Prima di rivelare il titolo, l’attore ha detto: “Chi ha dato la Green Card a questo figlio di p*****a?” riferendosi al regista messicano Alejandro G. Iñárritu. Certo, Penn aveva un’aria seriosa, ma il suo riferimento era ironico e rivolto a un grande amico.

E così la Migliore Regia va a un regista messicano per due anni consecutivi, dopo che Alfonso Cuarón ha vinto l’Oscar per Gravity lo scorso anno. Ma è stato particolarmente bello il modo in cui Iñárritu ha chiuso il suo discorso finale, dedicando l’Oscar ai messicani che meritano di essere trattati con dignità e rispetto come chi ha costruito “questa incredibile nazione di immigrati”.

Il momento più alto della serata è stato però un altro: il discorso di accettazione di John Legend e Common che hanno vinto l’Oscar per la Migliore Canzone Originale (“Glory” del film Selma). Come hanno ricordato, la lotta per la giustizia e la libertà è più attuale che mai, considerando il crescente clima di violente discriminazioni nei confronti dei neri negli Stati Uniti.

Anche nella notte che celebra la settima arte è giusto ricordare la battaglia per i diritti civili contro le discriminazioni nel mondo per motivi di “razza, genere, religione, orientamento sessuale e ceto sociale”. Perché il cinema deve riflettere la realtà.

E come ha concluso John Legend: “We are with you, we see you, we love you and march on”.

telefono con uno straniero

Comunicare al telefono con uno straniero

Per comunicare al telefono con un interlocutore che non parla la nostra lingua, non dobbiamo soltanto superare le barriere linguistiche, ma conoscere anche le differenze culturali che possono influenzare la comunicazione.

Immagino che in ufficio rispondi al telefono molte volte per chiamate di lavoro. E magari dall’altra parte della cornetta c’è un potenziale cliente straniero.
Oppure sei tu che telefoni a un partner commerciale o cerchi contatti di lavoro con l’estero.

In questi casi la lingua veicolare è quasi sempre l’inglese anche se tu e il tuo interlocutore vivete in nazioni che parlano altre lingue.

Per condurre una trattativa di successo e conquistare il potenziale partner d’affari al telefono, non è importante solo l’aspetto linguistico. Bisogna anche considerare fattori culturali che influenzano la comunicazione al telefono con uno straniero.

Comunicare al telefono con uno straniero? Questi sono alcuni aspetti interculturali da tenere presente:
  • Far squillare a lungo il telefono prima di rispondere è una scortesia per i giapponesi. Se ciò accade, è necessario scusarsi.
  • Siamo abituati a chiedere “chi parla?” prima di presentarci. Ma per molte culture dell’Estremo Oriente non è detto che la persona che telefona debba presentarsi, perché la questione del nome è piuttosto delicata. Ad esempio, in Cina solo amici e parenti possono chiamare una persona con il nome proprio. Negli altri casi si utilizzano il cognome o altri appellativi.
  • Spesso i nordeuropei e gli americani che rispondono a una telefonata dicono il proprio numero telefonico invece del proprio nome.
  • Per le culture occidentali e nordamericane il tempo è denaro, quindi si va dritti al punto per non perdere tempo.
    Invece per molte culture orientali, latinoamericane e nordafricane è indispensabile lasciare spazio ai convenevoli prima di affrontare la questione principale. Quindi se l’occidentale va dritto al punto, il nordafricano, l’asiatico e il latinoamericano avvertono questo approccio come un’offesa e una mancanza di rispetto.
  • Nelle culture occidentali il “come va?” è una domanda di rituale cortesia alla quale si risponde brevemente. Ma spesso si pone un problema interculturale fra un inglese e un italiano. Il primo pone la domanda rituale e si aspetta una risposta concisa. Ma al “come stai?” l’italiano fornisce una risposta lunga e articolata sui propri problemi personali o professionali, che sorprende l’interlocutore.
Ti è mai capitato di affrontare situazioni di questo tipo quando parli al telefono con un interlocutore straniero?

I gesti e gli italiani: la comunicazione oltre le parole

I gesti degli italiani suscitano una domanda assillante: perché gli italiani gesticolano quando parlano?

La nostra gestualità ampia e costante è uno degli aspetti che più affascinano gli stranieri.

Ma qual è la storia di uno degli stereotipi più diffusi sugli italiani?

In realtà non è un cliché infondato, perché non c’è alcun dubbio che noi italiani gesticoliamo tanto.

Anche se la gestualità è un elemento della comunicazione non verbale che caratterizza ogni cultura, il rapporto tra i gesti e gli italiani è così particolare da incuriosire gli stranieri. Il New York Times ha scritto un articolo sull’argomento e in rete circolano guide e video divertenti che spiegano il significato di gesti molto comuni tra gli italiani.

Non si tratta soltanto di gesti di accompagnamento, che rafforzano quanto detto verbalmente, bensì di quei gesti che usiamo in sostituzione della parola.

Esistono alcune teorie che illustrano le radici storiche della gestualità degli italiani:

  • Gli Antichi Greci introdussero il linguaggio gestuale. Furono i Greci che colonizzarono l’Italia meridionale a introdurre i gesti marcati del nostro linguaggio. E infatti al Sud si gesticola molto più che al Nord.
  • Il desiderio di non farsi capire dalle popolazioni dominanti (Romani, Goti, Normanni e tutti coloro che hanno dominato la penisola), comunicando a gesti. La gestualità sostituiva dunque la parola come una sorta di lingua in codice.
  • Le comunità parlavano dialetti diversi prima dell’unità linguistica, quindi per loro era difficile comunicare a causa delle differenze linguistiche. E grazie ai gesti riuscivano a farsi comprendere più facilmente.
  • La Commedia dell’Arte, espressione teatrale nata in Italia che valorizzava la mimica e i gesti dell’arte comica: dal palco e dal teatro di strada, i gesti utilizzati sono stati integrati nel nostro parlato quotidiano.

Questi fattori hanno certamente contribuito allo sviluppo dei gesti che utilizziamo senza accorgercene e che abbiamo appreso quasi in modo inconsapevole.

E per ironizzare sulla nostra abitudine inveterata (con un po’ di imbarazzo…), ecco il video del rap che il Consolato americano ha pubblicato qualche mese fa.

Fonte immagine: Alfredo Cassano

Come tradurre il silenzio

 

Se non conosci la sua lingua, non comprenderai mai il silenzio dello straniero.

Stanislaw Jerzy Lec

Probabilmente ciò è vero anche per la cultura. Non è detto che bisogna conoscere la lingua dello straniero per comprendere il suo silenzio, ma forse è preferibile avere qualche nozione di comunicazione interculturale per evitare malintesi, soprattutto se stai negoziando con un potenziale cliente estero.

Per concludere la trattativa a tuo favore e non fraintendere l’interlocutore, è infatti opportuno curare la comunicazione paraverbale, cioè il modo in cui qualcosa viene detto. Questo aspetto include anche il silenzio.

Ti è mai capitato di sentirti a disagio di fronte al silenzio dell’altro?

Le differenze culturali si rivelano anche nel significato del silenzio, che assume un valore diverso a seconda delle circostanze, del contesto, della cultura di appartenenza di due o più interlocutori.

Rispetto

Le culture asiatiche, in particolare quella giapponese, attribuiscono un ruolo importante al silenzio: si tratta di una forma di rispetto nei confronti dell’interlocutore, la manifestazione di un ascolto attento alle parole dell’altro. Esattamente l’opposto di quanto saremmo portati a pensare.

Un italiano, un americano, un francese, un inglese penserebbero invece il contrario.

Ad esempio, uno di loro conclude un intervento, un discorso, o pone una domanda; si aspetta quindi una risposta o una reazione immediata da parte dell’altro. Il giapponese (o l’interlocutore asiatico) rimane in silenzio per qualche istante prima di prendere la parola. Allora l’altro pensa che c’è qualcosa che non va, magari non è stato capito, il messaggio non è giunto in modo efficace: avverte questa pausa come un momento di imbarazzo e magari interviene nuovamente per chiedere spiegazioni.

In questo modo il silenzio dell’altro non è stato rispettato, perché la sua pausa era voluta, era un momento di riflessione atto a dimostrare l’interesse suscitato dall’intervento, tale da meritare qualche istante di silenzio prima di prendere la parola. Ed è qui che la comunicazione fallisce.

In questi casi il silenzio è quindi una parte fondamentale del discorso. Pertanto occorre inserire un maggior numero di pause per rendere la nostra comunicazione efficace.

Imbarazzo

L’italiano, lo spagnolo, le culture mediterranee e, in genere, quelle occidentali, tendono a evitare il silenzio, ritenendolo una fonte di disagio, un aspetto da evitare nella comunicazione. Per questo si tende a riempire il “vuoto” con interventi o commenti banali, si preferisce parlare di nulla pur di eludere l’imbarazzo suscitato dal silenzio.

Quante volte hai parlato del meteo pur di riempire una pausa nella conversazione?
Oppure pensa all’irritazione che spesso provi di fronte a lunghi momenti di silenzio in un film, mentre una battuta o un dialogo anche privi di contenuti interessanti ti sembrano più naturali.

Per tali ragioni, l’italiano o le persone appartenenti alle culture citate qualche rigo più sopra appaiono come molto loquaci, intenti a chiacchierare in continuazione.

Occorre quindi ricordare il valore culturale del silenzio.

Ma il consiglio più utile è questo: rispettare sempre la cultura dell’altro, mostrare curiosità verso le differenze ed essere umili. La nostra cultura è solo una prospettiva possibile tra le tante e non si finisce mai di imparare. Anche dal silenzio.