Nuovo regime dei minimi 2015: chiariamo le idee

Il nuovo regime dei minimi del 2015 è una beffa?

Di certo dimostra il modo in cui i freelance italiani vengono considerati lavoratori di serie B.
Ma per chi vuole aprire la Partita Iva ed è in dubbio, è il momento di decidere. Dal 1° gennaio 2015 entrerà infatti in vigore il nuovo regime dei minimi del 2015, che sta generando un bel po’ di confusione e incertezze.

Allora cerchiamo di fare luce su novità, vantaggi e svantaggi.

Il nuovo regime dei minimi del 2015 prevede l’applicazione dell’imposta sostituiva al 15% invece dell’attuale 5% con una soglia di fatturato che, al posto dei 30 000 euro previsti dall’attuale regime dei minimi, andrà da un minimo di 15 000 euro a un massimo di 40 000 euro.

Tutti i dettagli del nuovo regime dei minimi del 2015 sono descritti chiaramente da C+B:

Purtroppo ho sentito dire che questo governo in realtà “sta facendo qualcosa per i freelance“, in riferimento agli 800 milioni di euro stanziati per le Partite Iva dalla Legge di Stabilità.

La verità è questa: Legge di Stabilità: 800 milioni per le Partite Iva, ma nulla per i freelance!

La beffa per tutti i freelance è inoltre rappresentata dall’aumento contributivo che purtroppo sta per essere confermato. L’attuale aliquota INPS del 27,72% per le Partite Iva iscritte alla Gestione Separata passerà a gennaio al 29,72% ed è destinata ad aumentare fino al 33% nei prossimi anni.

Come dicono giustamente ad ACTA: #siamorotti.

Siamo rotti di essere considerati invisibili e di essere schiacciati. Siamo rotti di essere vittime dell’ignoranza dilagante in questo Paese sulla nostra categoria professionale.

È più probabile che questo governo introduca un bonus per i padroni che raccolgono gli escrementi del loro cane piuttosto che ascoltare e venire incontro alle esigenze dei freelance.

Per concludere: Regime dei minimi 2015: la disperazione dei lavoratori che si sentono usati come bancomat.

Due giorni, una notte e la dignità del lavoro

Due giorni, una notte: ho visto l’ultimo film dei fratelli Dardenne ed è stato come ricevere un pugno allo stomaco.

Due giorni, una notte è uno di quei film in cui il confine tra finzione cinematografica e amara realtà non si avverte. Ciò che vedi sullo schermo è la vita di una donna che potrebbe essere quella di ognuno di noi, alle prese con la precarietà lavorativa.

Di cosa parla il film?
Sandra (Marion Cotillard) è un’operaia che ha sofferto di depressione e sta per perdere il lavoro in una piccola azienda di pannelli solari. I suoi colleghi devono infatti scegliere tra un bonus di mille euro e la riassunzione di Sandra. La donna ha soltanto un fine settimana per convincerli a votare per il suo reinserimento in fabbrica, lottando contro l’esclusione.

Non c’è retorica in Due giorni, una notte. C’è la tragedia individuale, la disperazione del lavoratore che deve sostenere una battaglia per la propria dignità. Sandra è un’operaia, ma potrebbe essere una dipendente qualunque o una freelance. Perché spesso non c’è differenza tra la lotta per la sopravvivenza sul lavoro di un impiegato o di un lavoratore autonomo.

Questo film ti induce a riflettere perché non puoi fare a meno di immedesimarti in Sandra, ma anche nei suoi colleghi. Se fossi al loro posto, rinunceresti a mille euro quando hai spese da sostenere, una vita da costruire, una famiglia da mantenere o qualsiasi altra esigenza? Mille euro fanno comodo, ma optare per il bonus ti costringe a distruggere la vita di una persona che sta tentando di ricominciare, una persona che lotta contro la solitudine e lo fa per se stessa e per la famiglia.

La dolente malinconia negli occhi di Sandra si riflette nei volti dei suoi colleghi. Lei non li giudica, perché sa che scegliere il bonus non è sintomo di puro egoismo. E si sente in colpa, ma non vuole ricevere compassione. La sua è la lotta per la dignità del lavoro.

Potresti essere tu quando ti sembra di chiedere l’elemosina per il pagamento di una fattura da parte del tuo cliente, oppure quando temi di andare in esubero se per il sistema diventi una persona superflua. Tu, essere umano, spogliato dei tuoi diritti, non tutelato e trasformato in numero.

Due giorni, una notte ti sbatte in faccia il fallimento di una società. La nostra. Perché i numeri contano più delle persone e la solidarietà diventa quasi un lusso in un mondo costellato da solitudini disperate alle prese con i propri drammi.

Ma la lotta è necessaria. Due giorni, una notte mette in scena l’alienazione di una società alla deriva, eppure la soluzione allo sconforto è mostrare umanità.
Il motivo?
Alle becere logiche monetarie sopravvive una consapevolezza: se scelgo la distruzione del prossimo, sono un mostro, non un uomo. E difendere la dignità umana non è mai una debolezza.