Si può tradurre un testo che contrasta con i propri valori?

Il traduttore professionista è un lavoratore autonomo che talvolta può misurarsi con testi dal contenuto scomodo.
Quando si traduce, occorre mettere da parte la propria personalità per essere al servizio del testo e usare il tono di voce, la terminologia e lo stile richiesti dalla committenza.

Però a volte si può lavorare a un progetto che contrasta con i propri valori.

Ad esempio, qualche mese fa ho tradotto un breve saggio di un artista che compie atti estremi e che divide l’opinione pubblica con la sua arte che sconfina con la politica. Spesso ricorre all’autolesionismo rivendicando il diritto alla libertà di espressione e denunciando gli abusi politici.

Prima di essere una traduttrice, sono una persona, quindi non nascondo che quel progetto di traduzione mi ha scosso. Posso non condividere le modalità, gli strumenti e le scelte dell’artista, però ne comprendo la visione, in particolare il suo rifiuto del conformismo e dell’ipocrisia di massa.
Ed è questo che mi ha convinto ad accettare il progetto e a tradurre il suo saggio in italiano.

Però in quell’occasione ho riflettuto sul limite che c’è tra il proprio lavoro e i propri valori. Talvolta questi ultimi sono l’esatto opposto del contenuto di un progetto di lavoro. In questi casi il rifiuto di un incarico è inevitabile.

Ad esempio, un traduttore vegetariano o vegano non accetterà di tradurre un disciplinare sul processo produttivo della carne bovina.

Come libera professionista, sono libera di accettare o rifiutare progetti di traduzione per vari motivi, i più comuni dei quali sono i seguenti. In genere rifiuto un incarico di traduzione se:

  • il settore non è di mia competenza
  • le lingue di lavoro sono diverse dalle mie combinazioni linguistiche
  • le tariffe o il budget del cliente sono al di sotto dei miei standard
  • la mia agenda è già piena di altri progetti e non sono disponibile
  • nutro diffidenza nei confronti di un potenziale cliente

Mi piace sottolineare che la parola lavori è l’anagramma della parola valori, quindi c’è una sorta di commistione tra le due cose, che a mio parere dovrebbero convivere il più possibile.

So che non accetterò mai di tradurre contenuti che promuovono la misoginia, il razzismo, la pornografia, il gioco d’azzardo, non solo perché tutto ciò contrasta con il mio sistema di valori, ma anche perché tradurre significa trascorrere delle ore su un testo che diventa parte del proprio bagaglio personale e per un altro motivo essenziale: la traduzione contribuisce alla diffusione di un messaggio, di valori e culture.

Tu lavoreresti a un progetto che contrasta con i tuoi valori?

Cosa comunicare nei periodi di emergenza?

Non è soltanto il momento di restare a casa. Se il Coronavirus non ha avuto un forte impatto economico sul tuo lavoro (con chiusure, rinvii e annullamenti), è il momento di ripensare alle strategie di marketing e di comunicazione.

Covid-19 ha messo in discussione tutto. Nessuno era pronto a fronteggiare una pandemia.

Cosa non deve mancare innanzitutto? Solidarietà, senso di responsabilità civile e incoraggiamento.

Dato che il piano editoriale ha subito uno sconvolgimento, cosa è meglio comunicare di questi tempi?

Trasparenza, autenticità, empatia

Questa situazione riguarda tutti, senza distinzioni di cultura, religione, credo politico, situazione socio-economica.

Da un lato non è possibile fare finta di niente, pubblicando o condividendo contenuti che possono urtare la sensibilità altrui.

Dall’altro c’è chi non ne può più di articoli, trasmissioni, post, video e contenuti di ogni tipo riguardanti la pandemia e desidera distrarsi con qualcosa che non abbia nulla a che vedere con il Coronavirus.

Se non te la senti di continuare a postare online, dillo chiaramente. Non sparire senza avvertire il tuo pubblico di riferimento perché si potrebbe pensare al peggio.

Comunica ai tuoi clienti e fornitori qual è la tua situazione attuale

Puoi farlo sul sito web aziendale, sui social e nella newsletter.

Hai chiuso momentaneamente l’attività oppure hai adottato le misure necessarie per lavorare da casa? I tuoi collaboratori e clienti lavorano da remoto?

Hai modificato o ridotto gli orari di lavoro?

Fallo sapere.

Evita l’ironia e i meme sulla pandemia

All’inizio i video e le immagini che ironizzavano sul Coronavirus e sulle reazioni generali potevano pure divertire, ma da un po’ di tempo sono decisamente fuori luogo.

Si tratta di una pandemia, ci sono migliaia di morti e persone malate e forse un utente che legge o guarda un meme che hai pubblicato ha perso una persona cara. Non c’è niente da ridere.

Concedi rimborsi

Oltre ai negozi, al settore della cultura e dello spettacolo, tra i più colpiti a livello economico ci sono hotel, ristoranti, bar, villaggi turistici, b&b, stazioni sciistiche.

Probabilmente molti avevano prenotato e acquistato soggiorni, vacanze, biglietti per eventi, concerti e spettacoli che sono stati annullati o rimandati.

In tal caso occorre soddisfare le richieste di rimborso. Se è possibile, potresti fornire bonus o codici promozionali con cui inviti a posticipare la prenotazione.

Potenzia l’e-commerce e le consegne a domicilio

Se hai un’attività locale, potresti incoraggiare i tuoi clienti a restare a casa e organizzarti per garantire le consegne a domicilio.

Se vendi prodotti e hai già un e-commerce, è il momento di potenziarlo perché ora è l’unico canale che puoi utilizzare.

Cerchiamo di essere utili, ognuno nel suo piccolo. Condividiamo informazioni attendibili, scegliamo le parole con cura.

Il minimo movimento è importante per tutta la natura. L’intero oceano è influenzato da un sassolino.
Blaise Pascal

Il traduttore freelance è solitario o solidale?

Il traduttore è il professionista solitario per eccellenza oppure è votato alla condivisione con gli altri?

Provo a dare una risposta con una metafora tratta dal mio adorato Albert Camus il cui pensiero è articolato nell’apparente opposizione tra solitaire e solidaire, due concetti che in realtà si completano sottolineando il ruolo del singolo nella comunità.

Il traduttore è un essere invisibile, spesso considerato come una figura appartata e riservata nella solitudine della sua attività.

Ma è davvero così?
Può sembrare un’immagine romantica, ma analizziamola meglio.

Il traduttore freelance lavora da remoto, in genere da casa.

Come libero professionista, è un lavoratore indipendente che si occupa di progetti commissionati da diversi clienti.

Può essere una professione piuttosto solitaria, soprattutto secondo l’immagine diffusa del lavoratore solo soletto nel suo studio che macina parole al computer. È sempre sotto consegna, ha poche interazioni nel corso della giornata in virtù dell’assenza dei colleghi dei tradizionali lavori d’ufficio.

Il traduttore freelance interagisce essenzialmente con gli eventuali conviventi (genitori/partner/figli) che condividono i suoi spazi, oppure in modo virtuale.

In quanto freelance, può lavorare dove vuole e quando vuole.

Ma è proprio vero che il traduttore freelance è un lavoratore solitario che lavora fuori dai normali orari di lavoro?

Direi di no. Perché i clienti del traduttore seguono gli orari d’ufficio e il traduttore freelance deve essere reperibile in quegli orari per la corrispondenza con i clienti, le email, i preventivi, le consegne e quant’altro.

Certo, può lavorare anche alle 20:00 mentre in azienda la giornata si è conclusa, talvolta fino a tarda notte o a partire dal mattino presto. Da un lato si tratta di abitudini poco salutari se portate avanti a lungo termine, perché è importante staccare. Senza dubbio può capitare per gestire un’urgenza o diversi progetti contemporaneamente, ma deve restare un’eccezione. E d’altro canto come si fa a non seguire orari specifici per organizzare la propria giornata?

Trattandosi di una professione per cui l’organizzazione e l’autodisciplina sono essenziali, non ci si può alzare al mattino senza mettere in pratica un minimo di routine lavorativa.

Non esistono traduttori che lavorano improvvisando. Intendo i professionisti, quelli che fatturano e il cui reddito dipende dalla traduzione, non gli hobbisti o chi traduce occasionalmente per arrotondare.

Chi non ama lavorare da casa e preferisce “fare cose e vedere gente”, sceglie un coworking, cioè uno spazio condiviso dove incontrare altri professionisti.

Il traduttore solitario e solidale

In realtà, la traduzione è un’attività che poggia sulla solitudine del singolo e lo rende un essere solidale, partecipe della comunità, grazie al suo lavoro. Perché il traduttore rende possibile la comunicazione ostacolata dalle barriere linguistiche, diventando un traghettatore di messaggi e facilitando lo scambio tra più individui. Quindi è una professione che contribuisce in modo determinante alla collettività.

E poi c’è il networking, la creazione di una rete di contatti tramite incontri in carne e ossa e chat con gli altri traduttori, gli scambi su Skype, i momenti di formazione e di collaborazione fra traduttori, le videoconferenze con i clienti. E il traduttore che ha clienti nella zona fa loro visita e va a trovarli direttamente in azienda.

Insomma, non pensare al traduttore come a quel poveretto che traduce a lume di candela nel buio di una stanza nel cuore della notte. Non esiste. Il traduttore freelance è una parte attiva della comunità.

Come dico sempre: Traduco, ergo sumus. Traduco, dunque siamo.

Equilibrio e crescita: cosa insegna il fattore tempo

Il tempo è sottovalutato. E se c’è una cosa che ho imparato quest’anno è proprio questa: non si può dilatarlo all’infinito per inserire tutte le incombenze di cui devi occuparti, ma occorre fare delle scelte e metterle in pratica con responsabilità.

Lavorare il fine settimana o la sera: ma anche no.

Può capitare occasionalmente, ma non deve diventare una routine. L’ho imparato sulla mia pelle, quando a inizio anno ne ha risentito anche la salute psico-fisica: stress a non finire, lavoro ininterrotto per settimane, sere e weekend inclusi, senza mai riuscire a staccare, traduzione dopo traduzione.

Cosa ho imparato: Non trascurare la salute! L’equilibrio fisico è fondamentale tanto quanto quello mentale. Il riposo è essenziale. Dire di no lo è altrettanto. Perché il sovraccarico può compromettere la salute e tante altre cose. Allora ho detto basta alla collaborazione con alcuni clienti che non sembrano capire che il traduttore non è una macchina e che non può essere vigile e scattante e pronto ad accettare un progetto anche alle 22:00.

Non controllare la posta elettronica a qualsiasi ora.

Se sono sul Frecciargento di venerdì mattina perché sto andando a Roma, ho già segnalato la mia assenza ai clienti da diversi giorni. Quindi non devo pensare a potenziali incarichi che potrebbero giungere proprio in quelle ore.

Ed è successo, ovvio. Quante volte ti è capitato che, proprio quando comunichi di non essere disponibile in determinati giorni, i progetti fioccano come se non ci fosse un domani?

Non so spiegare questo paradosso, ma è reale. E se in passato era inevitabile dare una sbirciatina alla posta elettronica pensando “magari c’è un’urgenza o è una questione di minuti, che male c’è?”, oggi la penso in modo diverso. Perché dopo aver segnalato la mia assenza al cliente, mi aspetto che venga rispettata. Se mi propone comunque un progetto proprio in quelle ore o in quei giorni in cui sa che non sono disponibile, la percepisco come una mancanza di rispetto. Del resto al cliente non piacerebbe essere importunato per questioni di lavoro di domenica, durante una gita fuori porta con la famiglia, vero?

Cosa ho imparato: È meglio godermi il viaggio in treno o il giorno di riposo o la vacanza e non controllare le email. Se ho specificato che non sono disponibile il giorno X, non accetto incarichi. Punto. E leggo la posta elettronica quando torno operativa. È stato difficile, ma è un punto su cui ormai non transigo.

Produttività, equilibrio e Sheila

È difficilissimo dire di no quando sto lavorando a diversi progetti e si presentano altre proposte interessanti. Ma talvolta bisogna farlo, perché è praticamente impossibile gestire millemila traduzioni, consegne che si accavallano e avere anche il tempo di riposare gli occhi dal computer. Così do al cliente il nome di un traduttore che potrebbe occuparsi di quel progetto che devo rifiutare: in questo modo fornisco comunque una soluzione e ho la possibilità di fare una piccola gentilezza a un collega.

Cosa ho imparato: La qualità del proprio tempo deve essere valorizzata, perché esiste altro che richiede la tua attenzione oltre al lavoro: gli affetti, la famiglia, i tuoi interessi e passioni.

Sheila

Sheila

Da quando quest’anno Sheila è entrata nella mia vita, ho imparato a impiegare il mio tempo in modo più produttivo e consapevole. Se a un certo punto stacco per dedicarmi a lei, riesco a farlo perché porto a termine ciò che ho stabilito, senza lasciarmi distrarre da attività trascurabili e che rubavano il mio tempo.

Il principio è più o meno quello seguito da chi ha figli: la cura e la dedizione nei loro confronti non possono essere rimandati. Quindi non si può procrastinare, ma occorre riuscire a organizzare le proprie attività con disciplina e senza dimenticare che l’imprevisto è dietro l’angolo.

Così cerco ogni giorno di valorizzare ogni minuto di lavoro e di pausa, abbracciando l’idea che conciliare le parole equilibrio e crescita è possibile. Eccome se è possibile!

Qual è il contrario della procrastinazione?

Nella vita da freelance, la procrastinazione può essere uno dei mali che affliggono la professione. Si tende a procrastinare per vari motivi: rimandi qualcosa di noioso o che temi di affrontare, sei stanco e non ce la fai ad affrontare i progetti che ti aspettano…

Ma la situazione non può che peggiorare.

Il motivo? Finisci per fare tutt’altro senza rendertene conto: chat su Facebook, messaggi, video su Youtube, lettura di blog inghiottiscono la giornata di lavoro. Poi ci sono le email, le notifiche che interrompono qualsiasi attività a cui ti stai dedicando… solo per parlare delle interruzioni e distrazioni del mondo digitale.

Così addio produttività e la giornata si conclude senza aver raggiunto gli obiettivi prefissati.

Procrastinazione: la mia esperienza

Ti confesso che la procrastinazione non mi caratterizza. Anzi… direi che è il contrario. 😀

Il senso dell’autodisciplina mi guida in ogni cosa e nel lavoro faccio una serie di scelte finalizzate a non compromettere la produttività.

Certo, le interruzioni non mancano, ma cerco di limitarle il più possibile. Ogni giorno deve essere basato sull’organizzazione e la valutazione di eventuali imprevisti. E non posso permettermi di perdere tempo perché, essendo traduttrice freelance, la mia vita lavorativa è scandita dalle consegne.

Se non porto a termine gli obiettivi che mi sono prefissata, mi faccio prendere dall’ansia e la notte non riesco a chiudere occhio, con buona pace della lucidità e del riposo.

Questo senso del dovere mi accompagna da quando ero una bambina. Ai tempi della scuola e poi dell’università sapevo che il mio dovere era studiare. Ma ho sempre affrontato lo studio con passione.

Tuttavia, il contrario della procrastinazione può rivelare il suo lato oscuro. Perché può essere difficile dire di no al cliente, rispettare una determinata fascia oraria oltre la quale mi impongo di non leggere più le email e non lavorare oltre una determinata ora.

C’è voluto del tempo e capita di sfiorare il burnout. Perché i periodi di stress possono diventare frequenti e i momenti di pausa troppo pochi. E non smettere mai di lavorare può compromettere la salute, gli affetti, fagocitare intere giornate senza rendertene conto.

Cosa ho imparato?
Ho imparato a trovare un equilibrio, a dire basta prima di arrivare al limite. A non rinunciare ai miei interessi. A rispettare il mio tempo.

Perché la procrastinazione è un male… ma anche il suo contrario può diventare pericoloso.

Che ne pensi? Qual è la tua esperienza al riguardo? 🙂

Lavoro tra musica e silenzio

Quando lavoro prediligo il silenzio.
Credo che sia uno dei motivi per cui non riuscirei a lavorare in un ufficio condiviso con altri colleghi: le chiacchiere, il telefono, le interruzioni mi farebbero impazzire.

Per me il silenzio era necessario già durante gli studi, quando preparavo un esame o scrivevo la tesi. Infatti ricordo la frustrazione dei mesi di scrittura della tesi a causa dei rumori incessanti dei lavori di ristrutturazione del palazzo, a tal punto che i pochi momenti di silenzio di quelle settimane mi sembravano un privilegio.

Da quando lavoro come traduttrice freelance, il silenzio che mi circonda è indispensabile per la concentrazione e la produttività.

Mentre traduco la testa è già affollata dalle parole che leggo e che devo traghettare nella mia lingua, quindi non sopporterei l’ingerenza delle canzoni perché il flusso di parole si accavallerebbe e la concentrazione andrebbe a farsi benedire.

Certo, tutto dipende dai progetti, però talvolta riesco a mantenere la concentrazione anche ascoltando la musica. O meglio: soltanto musica classica o strumentale.

Ascoltando la musica classica, soprattutto Vivaldi e il mio amato Mozart, ho notato che non mi distraggo affatto. Anzi! Le dita si muovono ancora più veloci sulla tastiera perché scelgo appositamente dei brani movimentati e la traduzione diventa ancora più scorrevole e fluisce con naturalezza accompagnata dalla musica. Un esempio: “La Follia” di Vivaldi. Provare per credere! 😉

Ma se sto traducendo i sottotitoli di un video aziendale, non sopporto alcuna interferenza esterna malgrado le cuffie che mi isolano dal resto del mondo, in modo da restare focalizzata sul video e sull’audio da tradurre.

Confesso che ammiro molto chi è in grado di lavorare in un bar o un coworking circondato da tanta gente, voci, rumori, suoni e distrazioni.

E poi c’è chi lavora ascoltando i suoni della natura grazie a Noisli: pioggia, mare, il vento tra gli alberi fanno da sottofondo e ti proiettano in un’atmosfera naturale.

E tu? Qual è la tua esperienza?
Lavori con la musica o hai bisogno del silenzio assoluto? In che modo riesci a concentrarti più facilmente? 🙂

 

Traduttore freelance: quando dire di no a un cliente

 

Lo confesso, dire di no a un cliente non è facile, soprattutto quando si tratta di nuovi clienti che possono arricchire il nostro portfolio (e fatturato).

Di recente mi è capitato di rifiutare progetti di traduzione da due nuovi potenziali clienti. Il motivo? Settimane già completamente piene di traduzioni, revisioni e consegne che non mi avrebbero permesso di dedicarmi come si deve ad altri progetti corposi.

E se il cliente non mi contatta più? E se trova qualcun altro e decide di affidarsi a lui? E se…?

Sono tanti i dubbi che ci assillano in questi momenti. Anche perché poi ci sono quei periodi in cui il lavoro scarseggia e si tende ad accettare qualsiasi cosa pur di fatturare.
Invece dobbiamo imparare a fare pace con questa sorta di senso di colpa, perché ne va della nostra salute mentale e fisica.

Se lavori come traduttore freelance, ecco alcuni casi in cui dovresti dire di no a un cliente:
  • Le combinazioni linguistiche richieste per la traduzione non sono quelle con cui lavori tu.
  • Hai lavorato in passato con questo cliente che non ti ha ancora pagato o ti ha pagato con un ritardo imperdonabile e quindi non ti fidi.
  • Non credi che il progetto sia nelle tue corde, perché riguarda un settore in cui non sei specializzato o richiede competenze che non hai.
  • Il budget proposto per la traduzione è troppo basso. NO alle tariffe da fame!
  • Hai un carico eccessivo di lavoro, troppe consegne e scadenze da inseguire e sai che aggiungere un’altra traduzione senza avere il tempo necessario per svolgerla a dovere significa consegnare un lavoro non all’altezza.
  • Sei in vacanza ma controlli comunque le email. Ma se sei in vacanza, non accettare l’incarico! O meglio, puoi proporre una data di consegna che non coincida con il tuo periodo di (meritato) riposo.

In alcuni casi in cui si rifiuta una traduzione a malincuore, consiglio di suggerire una soluzione alternativa: fornire al cliente il contatto di un altro traduttore freelance adatto a svolgere quel particolare lavoro. Il networking serve anche a questo. 😉

E tu, cosa aggiungeresti? Ti è capitato di rifiutare un lavoro per altri motivi oltre a quelli che ho elencato?

Sai spiegare il tuo lavoro a un bambino?

 

Se un bambino ti chiede che lavoro fai, non puoi rispondergli con le stesse parole che useresti con un adulto.

In genere, preparare un elevator pitch è indispensabile per presentarti in modo professionale a un interlocutore con cui avviare eventualmente una collaborazione e che può diventare un tuo cliente.

Ma bisogna anche essere in grado di adattare l’elevator pitch e di renderlo accessibile alla persona che hai di fronte: la fascia d’età, l’istruzione, l’esperienza e il vissuto di ognuno sono talmente diversi che non puoi usare una formula standard per presentarti a chiunque.

Io adatto la mia presentazione a chi ho davanti. A un sessantenne non dico che lavoro come traduttrice freelance, perché la parola freelance potrebbe disorientarlo: dico che lavoro come traduttrice professionista.

Ma se è una bambina che va all’asilo a chiedermi che lavoro faccio, anche la parola traduttrice risulterebbe incomprensibile.

Mi è capitato durante il fine settimana di Pasqua, quando la mia procugina di 5 anni che inizia a essere molto curiosa del mondo mi ha fatto la fatidica domanda.

La procuginetta mi chiede: “Che lavoro fai?”

La mia risposta: “Faccio diventare le parole di un’altra lingua in italiano, come il tuo libro italiano-inglese con le immagini sui colori e gli animali. Mi danno un testo in inglese e lo faccio diventare in italiano, oppure mi danno un testo in francese e faccio la stessa cosa.”

La bimba mi guarda stupefatta: “E come fai?”.

Mi indico la tempia: “Con la testa, perché ho studiato tanto. Quindi leggo quelle parole strane e le riscrivo in italiano.”

Non so se la spiegazione sia stata la migliore che potessi dare alla mia procugina. So che ho reso l’idea perché ha capito per quanto le sia possibile, visto che non ha ancora imparato a leggere e scrivere.

E tu? Se un bambino di 5 anni ti chiedesse che lavoro fai, sapresti spiegarglielo in modo comprensibile per lui? Che cosa gli diresti?

11 richieste delle agenzie di traduzioni

Il traduttore freelance lavora per agenzie di traduzioni e clienti diretti.

Soprattutto quando si è alle prime armi, è preferibile cercare di collaborare con le agenzie di traduzioni che, nel migliore dei casi, forniscono un feedback sul lavoro svolto e danno la possibilità di migliorarsi costantemente.

Ma bisogna armarsi di pazienza e cercare di contattare un numero esorbitante di agenzie per avviare collaborazioni interessanti e redditizie.

In genere, ci lasciamo scoraggiare quando inviamo un’email di presentazione e il curriculum a un’agenzia e non riceviamo una risposta. Infatti le agenzie di traduzioni ricevono innumerevoli richieste di collaborazione da parte dei traduttori e non rispondono a tutti, bensì soltanto a quelli che soddisfano i requisiti richiesti.

Bisogna fare ricerche mirate. È inutile contattare un’agenzia che si occupa soltanto di traduzioni legali e finanziarie se non traduciamo in quei settori: è solo una perdita di tempo per noi e per l’agenzia in questione che ignora l’email o la cestina immediatamente.

Non solo lingue e specializzazioni

Le combinazioni linguistiche e i settori di specializzazione sono imprescindibili. Presentarsi come tuttologi non è una buona idea, anche perché è impossibile saper tradurre testi di qualsiasi argomento e offrire la stessa qualità. Quindi è meglio specializzarsi in determinati settori (pochi!).

Ma quali sono le richieste specifiche delle agenzie di traduzioni?

Oltre agli elementi basilari, cioè il curriculum e le tariffe applicate dal traduttore, un altro fattore determinante è l’uso dei CAT Tools, gli strumenti di traduzione assistita. Trados è il più richiesto dal mercato, quindi investire nell’acquisto può rivelarsi profittevole.

Qui di seguito troverai una lista di ciò che un’agenzia di traduzioni cerca in un traduttore freelance. Non tutte hanno queste esigenze, ma l’elenco include le varianti possibili e immaginabili. 😉

  • Il curriculum
  • Le tariffe (a parola / a cartella / a ora)
  • Uso di CAT Tools (preferibilmente SDL Trados Studio)
  • Modulo di collaborazione da compilare
  • Referenze
  • Test di traduzione
  • Copia del diploma di laurea
  • Firma di un NDA (accordo di riservatezza e non divulgazione)
  • Esempi di traduzioni svolte in passato
  • Eventuali servizi aggiuntivi (e rispettive tariffe): interpretariato, revisione, post-editing, desktop publishing, sottotitolazione, transcreation
  • Iscrizione al portale dell’agenzia

Possono subentrare anche altri elementi, come l’accettazione da parte del traduttore dei termini di pagamento dell’agenzia…

E a te è mai capitato di ricevere ulteriori richieste da parte di un’agenzia di traduzioni? Che cosa aggiungeresti a questa lista?

Chi non si fida dei freelance?

Finalmente Sherlock è tornato!

Il 2017 è iniziato con l’attesissimo ritorno dalla serie della BBC. Sherlock è tornato anche in Italia, perché è disponibile su Netflix quasi in contemporanea con l’Inghilterra.

Dopo il magnifico The Abominable Bride (La Sposa Abominevole) dello scorso anno, la quarta stagione è iniziata con l’episodio sconvolgente The Six Thatchers.

Niente paura: questo post non contiene spoiler su ciò che accade nella puntata e di cui si chiacchiera ovunque.

Dopo essermi asciugata le lacrime per gli eventi devastanti dell’episodio, mi soffermo a mente fredda su un elemento che, da brava freelance, ha attirato la mia attenzione dal punto di vista professionale più che da fan.

In una scena tra i fratelli Holmes, Sherlock e Mycroft si confrontano su un acronimo da decifrare che ha a che fare con un team di agenti segreti freelance, dei mercenari che diventano killer a seconda degli ingaggi.

“Freelancers are too woolly, too messy. I don't like loose ends.” Mycroft Holmes

“Freelancers are too woolly, too messy. I don’t like loose ends.”
Mycroft Holmes

Mycroft esprime il proprio scetticismo nei confronti di questa categoria e ne prende le distanze, non tanto in quanto assassini, bensì come freelance, che definisce confusi e disorganizzati.

Questo aspetto mi ha fatto sorridere, perché ho riflettuto sulla diffidenza diffusa nei confronti di questa figura professionale: un libero professionista che si tende a considerare con circospezione, un misto di confusione e apprensione legato alla difficoltà di comprendere la professione esercitata e al suo status di lavoratore indipendente.

Nulla di tutto questo riguarda Sherlock, beninteso, bensì la nostra realtà, in cui il freelance è generalmente considerato un lavoratore atipico.

È facile rendersi conto di una cosa: la fiducia è alla base di tutto. Nulla può andare a buon fine se non c’è fiducia tra il freelance e il cliente che gli commissiona un lavoro.

Di recente una cliente mi ha scritto per gli auguri di fine anno e fra le sue bellissime parole c’era anche questo: “So che posso contare su di te e la tua disponibilità è per me davvero rassicurante”.

Fidarsi del cliente è tanto indispensabile per il freelance quanto il contrario. Sapere di lavorare bene insieme, essere certo della qualità del lavoro svolto dal freelance, non dubitare che il saldo della fattura arriverà: sono soltanto alcuni aspetti che caratterizzano un rapporto di fiducia reciproca.

Naturalmente gli imprevisti succedono, ma una cosa è certa: non bisogna chiudere il canale di comunicazione. Occorre confrontarsi sempre e comunque, perché una proficua collaborazione va a vantaggio di entrambe le parti.