telefono con uno straniero

Comunicare al telefono con uno straniero

Per comunicare al telefono con un interlocutore che non parla la nostra lingua, non dobbiamo soltanto superare le barriere linguistiche, ma conoscere anche le differenze culturali che possono influenzare la comunicazione.

Immagino che in ufficio rispondi al telefono molte volte per chiamate di lavoro. E magari dall’altra parte della cornetta c’è un potenziale cliente straniero.
Oppure sei tu che telefoni a un partner commerciale o cerchi contatti di lavoro con l’estero.

In questi casi la lingua veicolare è quasi sempre l’inglese anche se tu e il tuo interlocutore vivete in nazioni che parlano altre lingue.

Per condurre una trattativa di successo e conquistare il potenziale partner d’affari al telefono, non è importante solo l’aspetto linguistico. Bisogna anche considerare fattori culturali che influenzano la comunicazione al telefono con uno straniero.

Comunicare al telefono con uno straniero? Questi sono alcuni aspetti interculturali da tenere presente:
  • Far squillare a lungo il telefono prima di rispondere è una scortesia per i giapponesi. Se ciò accade, è necessario scusarsi.
  • Siamo abituati a chiedere “chi parla?” prima di presentarci. Ma per molte culture dell’Estremo Oriente non è detto che la persona che telefona debba presentarsi, perché la questione del nome è piuttosto delicata. Ad esempio, in Cina solo amici e parenti possono chiamare una persona con il nome proprio. Negli altri casi si utilizzano il cognome o altri appellativi.
  • Spesso i nordeuropei e gli americani che rispondono a una telefonata dicono il proprio numero telefonico invece del proprio nome.
  • Per le culture occidentali e nordamericane il tempo è denaro, quindi si va dritti al punto per non perdere tempo.
    Invece per molte culture orientali, latinoamericane e nordafricane è indispensabile lasciare spazio ai convenevoli prima di affrontare la questione principale. Quindi se l’occidentale va dritto al punto, il nordafricano, l’asiatico e il latinoamericano avvertono questo approccio come un’offesa e una mancanza di rispetto.
  • Nelle culture occidentali il “come va?” è una domanda di rituale cortesia alla quale si risponde brevemente. Ma spesso si pone un problema interculturale fra un inglese e un italiano. Il primo pone la domanda rituale e si aspetta una risposta concisa. Ma al “come stai?” l’italiano fornisce una risposta lunga e articolata sui propri problemi personali o professionali, che sorprende l’interlocutore.
Ti è mai capitato di affrontare situazioni di questo tipo quando parli al telefono con un interlocutore straniero?

I gesti e gli italiani: la comunicazione oltre le parole

I gesti degli italiani suscitano una domanda assillante: perché gli italiani gesticolano quando parlano?

La nostra gestualità ampia e costante è uno degli aspetti che più affascinano gli stranieri.

Ma qual è la storia di uno degli stereotipi più diffusi sugli italiani?

In realtà non è un cliché infondato, perché non c’è alcun dubbio che noi italiani gesticoliamo tanto.

Anche se la gestualità è un elemento della comunicazione non verbale che caratterizza ogni cultura, il rapporto tra i gesti e gli italiani è così particolare da incuriosire gli stranieri. Il New York Times ha scritto un articolo sull’argomento e in rete circolano guide e video divertenti che spiegano il significato di gesti molto comuni tra gli italiani.

Non si tratta soltanto di gesti di accompagnamento, che rafforzano quanto detto verbalmente, bensì di quei gesti che usiamo in sostituzione della parola.

Esistono alcune teorie che illustrano le radici storiche della gestualità degli italiani:

  • Gli Antichi Greci introdussero il linguaggio gestuale. Furono i Greci che colonizzarono l’Italia meridionale a introdurre i gesti marcati del nostro linguaggio. E infatti al Sud si gesticola molto più che al Nord.
  • Il desiderio di non farsi capire dalle popolazioni dominanti (Romani, Goti, Normanni e tutti coloro che hanno dominato la penisola), comunicando a gesti. La gestualità sostituiva dunque la parola come una sorta di lingua in codice.
  • Le comunità parlavano dialetti diversi prima dell’unità linguistica, quindi per loro era difficile comunicare a causa delle differenze linguistiche. E grazie ai gesti riuscivano a farsi comprendere più facilmente.
  • La Commedia dell’Arte, espressione teatrale nata in Italia che valorizzava la mimica e i gesti dell’arte comica: dal palco e dal teatro di strada, i gesti utilizzati sono stati integrati nel nostro parlato quotidiano.

Questi fattori hanno certamente contribuito allo sviluppo dei gesti che utilizziamo senza accorgercene e che abbiamo appreso quasi in modo inconsapevole.

E per ironizzare sulla nostra abitudine inveterata (con un po’ di imbarazzo…), ecco il video del rap che il Consolato americano ha pubblicato qualche mese fa.

Fonte immagine: Alfredo Cassano

Viaggi: le regole del galateo a tavola nel mondo

 

Quando viaggi non devi sottovalutare l’importanza dell’etichetta a tavola. Ogni cultura ha le proprie regole sulla postura e la consumazione dei pasti. Imparale e mettile in pratica per non fare brutta figura quando mangi o bevi durante un soggiorno all’estero.

Infatti le abitudini a tavola variano da un Paese all’altro ed è sempre preferibile conoscere alcune regole per evitare momenti di imbarazzo o mancare di rispetto all’altra cultura.

Ecco una lista di regole del galateo a tavola nel mondo.

Viaggi: cosa non fare a tavola
  • Non incrociare le bacchette in Cina e Giappone.
  • Usa solo la mano destra per mangiare in India, Medio Oriente e alcune parti dell’Africa. La mano sinistra è considerata impura.
  • Non parlare di soldi in Francia.
  • Usa sempre le posate e non toccare il cibo con le mani in Brasile e Cile.
  • Non chiedere sale e pepe in Portogallo. La richiesta è considerata un’offesa al condimento fatto dal cuoco.
  • Non tenere le mani poggiate in grembo in Russia.
Viaggi: cosa fare a tavola
  • Condividi il pasto in Etiopia. Non esiste un piatto singolo perché un pasto individuale è considerato una strana usanza.
  • In Giappone riempi il bicchiere del tuo vicino e aspetta che il tuo venga riempito da un altro commensale.
  • Lascia un po’ di avanzi nel piatto in Cina. Così dimostri di aver apprezzato il pasto e di aver gustato la quantità giusta di cibo.
  • In Messico mangia con le mani invece di usare le posate.
  • Offriti di pagare per intero il conto in Francia o aspetta che lo faccia qualcun altro. Dividere il conto è considerato poco educato.
Hai partecipato a un pasto particolare quando eri in vacanza all’estero? Hai qualche esperienza curiosa da condividere sulle abitudini a tavola in altri paesi?

5 cose che ho imparato a Pechino

 

Quattro mesi fa si concludeva la settimana trascorsa a Pechino. Un viaggio di lavoro e di piacere, un’esperienza professionale e umana indimenticabile.

Tra le visite alla Grande Muraglia e alla Città Proibita, l’assistenza linguistica in inglese in ogni circostanza del soggiorno, l’evento della Fashion Week e le peripezie inaspettate, la settimana in Cina è stata anche l’occasione di un arricchimento culturale acquisito sul campo.

I ricordi di quei giorni trascorsi a Pechino sono molteplici, ma vorrei sottolineare cinque aspetti che mi hanno colpito in modo particolare.

1. Una cultura millenaria da scoprire
Grande Muraglia Cinese

Scaliamo la Grande Muraglia…

Gli edifici imperiali, la Grande Muraglia mozzafiato (e faticosa da scalare!), le musiche tradizionali, la cucina variopinta e ricca di odori… un viaggio in Cina è l’accesso a una cultura unica sotto molti punti di vista.

Pechino è il centro nevralgico in cui scoprire un sistema culturale profondamente diverso dal nostro con un approccio di curiosità.

2. La compravendita è un’arte

L’esperienza di acquisto e vendita di un prodotto a Pechino è irripetibile e spassosa.
Nei paesi orientali esiste una maggiore flessibilità sul prezzo di acquisto di un articolo, mentre in Occidente siamo abituati a comprare in base al prezzo esposto.

A Pechino la compravendita è un’arte vera e propria. Il Silk Market è il luogo per eccellenza dove sperimentare trattative irriverenti. Si tratta di un centro commerciale sui generis dove acquistare capi di abbigliamento, borse, scarpe, souvenir, accessori di ogni genere e tanto altro. La sua peculiarità consiste nell’atto stesso della compravendita. Il commerciante propone un prezzo di partenza, di solito piuttosto alto, che il cliente ingenuo potrebbe accettare subito secondo la consuetudine occidentale.
Invece è possibile rifiutare il prezzo e proporre il proprio, decisamente più basso. Quindi comincerà una trattativa dai toni accesi che potrebbe spaventarci, con cifre sventolate in modo insistente da entrambe le parti. In realtà l’opposizione cocciuta del commerciante è apparente e finalizzata a persuadere il cliente ad accettare il prezzo da lui proposto.
Si può continuare a trattare il prezzo per diversi minuti, finché una delle due parti non cede e l’articolo viene venduto al prezzo finale (“ultima offerta”) dell’uno o dell’altro.

È una prassi molto divertente, un tira-e-molla, una sorta di gara, e viverla come mediatrice linguistica ha aggiunto buona dose del divertimento: mediare dal cliente italiano al commerciante cinese e viceversa, con un continuo botta e risposta, rifiuti incessanti e proposte perentorie, è stato come prendere parte a un piccolo teatro comico.

3. L’inquinamento allarmante

Di certo è risaputo: il livello di inquinamento in Cina è tra i più alti e nocivi al mondo, ma vivere questo problema sulla propria pelle è un’altra cosa rispetto alle notizie divulgate dai media sui tassi di inquinamento ambientale in costante crescita, in particolare a Pechino.

L’aria è davvero irrespirabile. Una cappa perenne avvolge la città e non lascia filtrare neppure le nuvole. Il cielo ha sempre lo stesso aspetto, così come la pallida sfera del sole. Un monotono cielo grigio e spento durante il giorno cede il passo a un manto arancio di foschia e illuminazione artificiale. E la foschia è puro smog che limita notevolmente la visibilità.

A tratti la puzza dello smog è talmente insopportabile da procurare un bruciore al naso e l’esigenza delle mascherine sul viso è comprensibile.

Non è poi così superfluo evidenziare che è indispensabile un serio intervento per limitare l’inquinamento della città.

4. La moda è in forte espansione

La potenza economica cinese si sta impegnando a consolidare le forze produttive nel settore della moda, guardando in special modo all’Occidente.

Se la moda italiana è invidiata da tutto il mondo per la sua grande attenzione all’artigianalità, la qualità e le tecniche sartoriali, la Cina trae ispirazione dalla creatività degli altri paesi e la interpreta in modo originale, dando vita a creazioni di Alta Moda in cui concedere ampio spazio alla sperimentazione. Si sperimenta sulle forme, sull’uso dei materiali e dei colori.

La moda cinese mira anche a valorizzare i giovani creativi, considerati una vera risorsa del futuro. Senza dubbio questo settore conoscerà sempre più una forte espansione.

5. Alla ricerca della lingua inglese

La Cina è la potenza economica del futuro, il più importante paese emergente.
Ma le barriere linguistiche sono notevoli: il cinese mandarino è la lingua parlata da milioni di persone, quindi non è affatto scontato trovare qualcuno che parli inglese.

Sono rimasta alquanto stupefatta nel constatare che i cinesi interagiscono con grandi difficoltà in inglese persino in un albergo in pieno centro di Pechino, nei ristoranti e in luoghi destinati al continuo flusso di turisti provenienti da tutto il mondo.

Sotto il profilo linguistico, mi aspettavo un approccio più globale. In genere anche il materiale informativo per gli ospiti non è tradotto in inglese, oppure viene tradotto con superficialità.

Il dominio del cinese mandarino è indiscutibile anche quando sarebbe opportuno impiegare un inglese di base come lingua veicolare.

Resta una certezza inconfutabile:
Un viaggio in Cina è un’esperienza da vivere almeno una volta nella vita.

Come tradurre il silenzio

 

Se non conosci la sua lingua, non comprenderai mai il silenzio dello straniero.

Stanislaw Jerzy Lec

Probabilmente ciò è vero anche per la cultura. Non è detto che bisogna conoscere la lingua dello straniero per comprendere il suo silenzio, ma forse è preferibile avere qualche nozione di comunicazione interculturale per evitare malintesi, soprattutto se stai negoziando con un potenziale cliente estero.

Per concludere la trattativa a tuo favore e non fraintendere l’interlocutore, è infatti opportuno curare la comunicazione paraverbale, cioè il modo in cui qualcosa viene detto. Questo aspetto include anche il silenzio.

Ti è mai capitato di sentirti a disagio di fronte al silenzio dell’altro?

Le differenze culturali si rivelano anche nel significato del silenzio, che assume un valore diverso a seconda delle circostanze, del contesto, della cultura di appartenenza di due o più interlocutori.

Rispetto

Le culture asiatiche, in particolare quella giapponese, attribuiscono un ruolo importante al silenzio: si tratta di una forma di rispetto nei confronti dell’interlocutore, la manifestazione di un ascolto attento alle parole dell’altro. Esattamente l’opposto di quanto saremmo portati a pensare.

Un italiano, un americano, un francese, un inglese penserebbero invece il contrario.

Ad esempio, uno di loro conclude un intervento, un discorso, o pone una domanda; si aspetta quindi una risposta o una reazione immediata da parte dell’altro. Il giapponese (o l’interlocutore asiatico) rimane in silenzio per qualche istante prima di prendere la parola. Allora l’altro pensa che c’è qualcosa che non va, magari non è stato capito, il messaggio non è giunto in modo efficace: avverte questa pausa come un momento di imbarazzo e magari interviene nuovamente per chiedere spiegazioni.

In questo modo il silenzio dell’altro non è stato rispettato, perché la sua pausa era voluta, era un momento di riflessione atto a dimostrare l’interesse suscitato dall’intervento, tale da meritare qualche istante di silenzio prima di prendere la parola. Ed è qui che la comunicazione fallisce.

In questi casi il silenzio è quindi una parte fondamentale del discorso. Pertanto occorre inserire un maggior numero di pause per rendere la nostra comunicazione efficace.

Imbarazzo

L’italiano, lo spagnolo, le culture mediterranee e, in genere, quelle occidentali, tendono a evitare il silenzio, ritenendolo una fonte di disagio, un aspetto da evitare nella comunicazione. Per questo si tende a riempire il “vuoto” con interventi o commenti banali, si preferisce parlare di nulla pur di eludere l’imbarazzo suscitato dal silenzio.

Quante volte hai parlato del meteo pur di riempire una pausa nella conversazione?
Oppure pensa all’irritazione che spesso provi di fronte a lunghi momenti di silenzio in un film, mentre una battuta o un dialogo anche privi di contenuti interessanti ti sembrano più naturali.

Per tali ragioni, l’italiano o le persone appartenenti alle culture citate qualche rigo più sopra appaiono come molto loquaci, intenti a chiacchierare in continuazione.

Occorre quindi ricordare il valore culturale del silenzio.

Ma il consiglio più utile è questo: rispettare sempre la cultura dell’altro, mostrare curiosità verso le differenze ed essere umili. La nostra cultura è solo una prospettiva possibile tra le tante e non si finisce mai di imparare. Anche dal silenzio.