Una storia di colleganza felice

Viviamo in tempi in cui si tende a puntare il dito contro il prossimo ignorando l’oscurità della propria ombra. Questo meccanismo fa scattare giudizi più o meno gratuiti che diventano all’ordine del giorno: gli altri fanno questo, tizio ha sbagliato, ecco l’errore clamoroso commesso da caio, la sua svista è imperdonabile…

Non sarebbe meglio ispirare un po’ di positività (e direi che ne abbiamo bisogno)?
Proviamo a riconoscere i meriti degli altri?

È per questo che ho deciso di cogliere l’invito di Laura Dossena, che nel suo post ci chiede di condividere le nostre storie di #colleganzafelice.

Perché la comunità dei traduttori è un po’ strana: concorrenza, argomenti tabù, competizione… ma anche solidarietà, condivisione, sostegno e collaborazione.

Non faccio nomi in segno di rispetto per la collega in questione che si riconoscerà quando leggerà questo post. Ma se le andrebbe di essere citata, ovviamente lo farò! 😉

La collega di cui parlo è una traduttrice con cui condivido le combinazioni linguistiche e diversi settori di specializzazione. A questo punto, la domanda sorge spontanea: ma come, allora non siete in competizione, visto che vi accomunano diversi elementi nel vostro lavoro? L’una non rappresenta la concorrenza dell’altra?

In teoria sì, però ragiono da sempre in questi termini: l’unica persona con cui sono davvero in competizione sono io. Perché cerco di fare sempre meglio, inseguendo la perfezione in un incessante duello con me stessa.

Così, quando lei mi ha contattato per la prima volta proponendomi di collaborare a un grosso progetto di traduzione dal francese all’italiano, sono rimasta stupita e onorata al tempo stesso.

Una collega più grande ed esperta di me vuole che lavoriamo insieme? Posso davvero contribuire in modo significativo? Sono all’altezza di una proposta del genere?

Ho accettato con entusiasmo e devo dire che la collaborazione ha rappresentato davvero una svolta. Noi traduttori siamo abituati a svolgere un lavoro piuttosto solitario e usciamo di rado dal nostro guscio. Ma stiamo anche imparando a riconoscere il valore del networking e della condivisione, spesso virtuale a causa della distanza, ma che in alcuni casi si concretizza in un bel confronto di persona.

Da allora collaboro con questa straordinaria traduttrice a diversi progetti, in uno scambio reciproco che mi insegna tantissimo ogni volta. I lavori di traduzione e revisione “in tandem” diventano uno splendido confronto in cui scopriamo di essere sulla stessa lunghezza d’onda, condividiamo e sciogliamo dubbi, ci scervelliamo e riflettiamo a volte più del dovuto su ogni parola, frase e virgola del testo che abbiamo di fronte.

Troviamo una soluzione insieme e poi ne valutiamo anche altre, perché consideriamo tutte le possibili sfumature.

E tra email e chat su Skype, imparo davvero tanto da lei e ho scoperto una persona dalle competenze eccezionali, spiritosa, affabile, scrupolosa e solare. E spero con tutto il cuore che un giorno ci conosceremo finalmente di persona, carissima *! 😀

7 cose da non dire a un traduttore freelance

1. Il traduttore e l’interprete sono la stessa cosa.

No. Sono due professioni diverse per le quali sono richieste competenze diverse. È vero che molti traduttori lavorano anche come interpreti e viceversa, ma non è detto che sia sempre così.
Ripeti con me: il traduttore scrive, l’interprete parla.
È chiara la differenza elementare?

2. Conosco un’altra lingua, quindi posso fare il traduttore.

Saper parlare una lingua non significa saper tradurre. Il professor François Grosjean ha detto:

Non basta avere due mani per essere un buon pianista, così come non basta sapere due lingue per essere un buon ‪traduttore‬ e interprete.‬

3. Come si dice questo in inglese? Che significa questa parola?

Il traduttore non è un vocabolario vivente!
Il traduttore freelance non ha ingerito il dizionario, né imparato a memoria ogni singola parola di una lingua straniera, così come un italiano non conosce ogni parola esistente della lingua italiana. Mi sai dire che cosa significa sicumera?

4. Basta che sai la lingua, non importa conoscere l’argomento.

E invece è essenziale che il traduttore conosca l’argomento del testo da tradurre per svolgere un lavoro ottimale. Se il traduttore è esperto di un determinato argomento, buona parte della terminologia è già acquisita, quindi traduce più rapidamente e a un prezzo più economico, perché il lavoro di ricerca e documentazione richiede un numero di ore inferiore rispetto alle tempistiche necessarie per un traduttore che ignora l’argomento del testo di partenza.

5. Traduci da casa? Ma è un lavoro?

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6. Conosci soltanto tre lingue?

Tre è un numero decisamente ragionevole. Non perché three is a magic number, ma perché è meglio diffidare di qualcuno che dice di parlare un numero esagerato di lingue straniere. Quanto è approfondita la sua conoscenza di queste sei-sette-otto lingue?

7. Non sopporto i traduttori simultanei della tv.

Peccato che i traduttori simultanei non esistono. Sono interpreti. E ciò che fanno si chiama interpretazione simultanea, non traduzione.

Di certo esistono altri luoghi comuni e frasi che fanno indispettire un traduttore freelance… collega traduttore, che cosa aggiungeresti in base alla tua esperienza?

4 falsi miti sui freelance

Il lavoro freelance è sempre al centro della discussione. In Italia la situazione non è particolarmente rosea a causa di pratiche tristemente diffuse: sfruttamento del freelance, ritardo dei pagamenti, retribuzioni misere.

Ciò nonostante il lavoro freelance è in continua espansione.
Visto che le assunzioni sono ormai un miraggio, molti scelgono di rimboccarsi le maniche e iniziare un’attività come freelance: liberi professionisti, lavoratori autonomi, lavori creativi che danno linfa vitale al sistema.

Esistono tuttavia pregiudizi e falsi miti sul lavoro freelance che occorre smentire.

1. Essere freelance è un hobby

Si può decidere di diventare freelance per far conciliare una passione con il lavoro. Del resto il lavoro non deve essere considerato per forza come un peso necessario per portare a casa la pagnotta, come un’attività priva di stimoli ma essenziale per vivere.

Un talento creativo inizialmente scoperto come hobby può infatti confluire in un’attività lavorativa.

2. Il freelance lavora gratis

Si può cominciare con attività di volontariato e non retribuite per costruire un portfolio e maturare un po’ di esperienza. Ma questo non significa che il freelance non debba essere pagato.
Il lavoro freelance è lavoro. E come tale va retribuito.

Oltre alle normali esigenze di base per vivere, anche il freelance deve pagare le tasse e i contributi, le spese di gestione della sua attività, il proprio commercialista, provvedere all’aggiornamento professionale per rimanere competitivo sul mercato.

3. Il lavoro freelance è solo creativo

E invece no.
Non si tratta solo di grafici, fotografi, illustratori, copywriter, ma anche di professioni intellettuali: traduttori e interpreti, programmatori, esperti di marketing e così via.

Il mondo del lavoro freelance è decisamente vario. Ciò che accomuna le diverse professioni è un’alta specializzazione e un continuo aggiornamento delle proprie competenze.

4. Chiunque può diventare un freelance

Essere freelance è uno stile di vita. Occorrono grande motivazione, passione per il proprio lavoro, autodisciplina, determinazione, intraprendenza.

Bisogna essere in grado di gestire il lavoro in tutte le sue fasi, contattare potenziali clienti, essere puntuali nelle consegne, impegnarsi nel personal branding e nel marketing della propria attività.

E poi ci sono quei periodi piatti in cui il flusso di lavoro scarseggia e non bisogna lasciarsi abbattere, così come quando occorre essere attivi nel contattare quei clienti che ritardano nei pagamenti.

Se si preferisce il conforto di un’attività stabile con la certezza dello stipendio a fine mese, è meglio non imboccare la strada del freelance: in tal caso il lavoro da dipendente è la scelta più appropriata.

Probabilmente la lista non finisce qui.
Quali sono gli altri pregiudizi sul lavoro freelance?