Il francese, una storia d’amore

Il 20 marzo si celebra la Giornata Internazionale della Francofonia, che mira a valorizzare la cultura francofona e la lingua francese nel mondo.

Ti segnalo giusto un paio di dati significativi:

  • Il francese è la quinta lingua più parlata del mondo
  • Nel mondo ci sono 274 milioni di francofoni

Ma patrie, c’est la langue française.
Albert Camus

Insieme all’inglese (e ovviamente all’italiano, la mia lingua madre), il francese è la mia lingua di lavoro. Ed è una lingua che amo profondamente alla pari dell’inglese.

Tra marketing, turismo e moda, ogni giorno leggo, analizzo e traduco testi nella mia madrelingua per clienti che, guarda caso, sono per la maggior parte francesi.

Spesso noto un certo pregiudizio nei confronti di questa lingua e cultura da parte di chi mi circonda: il francese non piace a tutti, c’è chi lo ritiene simile all’italiano ma in verità troppo difficile da capire, chi rimane bloccato nella grammatica complessa, chi mastica il francese scolastico e chi preferisce trincerarsi nel cliché “i francesi sono snob”.

Quante volte si parla male dei parigini che non sono disponibili nei confronti dei forestieri? Ecco l’immagine diffusa: il forestiero chiede informazioni e il francese finge di non capire o si rifiuta di parlare inglese. Detesto questo stereotipo perché è tipico di noi italiani che dovremmo essere gli ultimi a tacciare i francesi di arroganza, visto il pessimo livello generale nelle lingue straniere.

Del resto, un forestiero che chiede informazioni a un romano non si trova generalmente di fronte a barriere linguistiche insormontabili? Quanti saprebbero rispondergli in inglese e non in italiano?

Insomma, questo atteggiamento superficiale mi fa pensare all’ostilità calcistica Italia-Francia. Essendo adulti, potremmo avere una maggiore apertura mentale, non credi? 🙂

Dopo essermi tolta questo sassolino dalla scarpa, vorrei raccontarti la mia storia d’amore con la lingua francese.

Tutto è cominciato a scuola, quando lo studio del francese alle elementari è stato il mio primo approccio con le lingue straniere. Ero la bambina che si applicava con maggiore entusiasmo nei confronti di questa lingua, di cui adoravo il suono, la pronuncia, la magia delle parole che non capivo e che poi assumevano un significato. Una caccia al tesoro, una caccia al senso e una ricerca linguistica che un giorno sarebbero diventate il mio pane quotidiano.

La scuola media è stata l’occasione di scoprire l’inglese, che ho affiancato al francese anche al liceo linguistico e all’università.

Mi piaceva andare oltre ciò che imparavo nelle cinque ore di frequenza e così le gite scolastiche, le certificazioni linguistiche e i soggiorni all’estero sono stati l’occasione di toccare con mano la lingua vera, quella che esiste oltre i testi scolastici: gli insegnanti madrelingua, i parigini, i monumenti, i negozi, i musei, i viaggi. Un universo così vivido che mi ha fatto perdere la testa per la musicalità della lingua, l’eloquio rapido e la raffinatezza che mi ispira il francese.

Mi sono innamorata della cultura francese anche con la letteratura. Uno dei primi approcci è stato Notre-Dame de Paris di Victor Hugo e lo splendido musical che ha rapito il mio immaginario da ragazzina quando, oltre alla versione italiana di Riccardo Cocciante, ho perso la testa per la versione originale in francese.

A 18 anni ho avuto una vera e propria folgorazione per Albert Camus, che ancora oggi è il mio scrittore preferito, su cui ho poi basato la tesi di laurea in Mediazione Linguistica.

E negli anni in cui ho scoperto il cinema francese, ho cementato il mio amore per questa lingua e cultura all’università: traduzioni, potenziamento della grammatica, terminologia specialistica, storia della lingua e letteratura francese e una splendida docente francese che mi ha trasmesso un’etica professionale inestimabile.

Oggi mi ritengo privilegiata nel lavorare con il francese e con clienti che sono fieri della loro lingua. Pensa che i francesi traducono tutto, francesizzano praticamente ogni termine straniero. Invece noi abbiamo un tale servilismo nei confronti dell’inglese da introdurre anglicismi e inglese maccheronico quando parliamo e scriviamo.

Insomma, sarebbe meglio scendere dal piedistallo con cui si giudicano i francesi per la loro altezzosità o distacco. Il metro di misura? La socievolezza e l’espansività sono tipici della nostra cultura, ma il comune denominatore tra le due culture è il rispetto. Che per i nostri cugini è una certa riservatezza e cortesia manifesti in quel “vous” ampiamente diffuso, a differenza del nostro darci del tu con maggiore frequenza.

Paese che vai… 😉

Sage est le juge qui écoute et tard juge
(Saggio è il giudice che ascolta e tardi giudica)

Il traduttore freelance è solitario o solidale?

Il traduttore è il professionista solitario per eccellenza oppure è votato alla condivisione con gli altri?

Provo a dare una risposta con una metafora tratta dal mio adorato Albert Camus il cui pensiero è articolato nell’apparente opposizione tra solitaire e solidaire, due concetti che in realtà si completano sottolineando il ruolo del singolo nella comunità.

Il traduttore è un essere invisibile, spesso considerato come una figura appartata e riservata nella solitudine della sua attività.

Ma è davvero così?
Può sembrare un’immagine romantica, ma analizziamola meglio.

Il traduttore freelance lavora da remoto, in genere da casa.

Come libero professionista, è un lavoratore indipendente che si occupa di progetti commissionati da diversi clienti.

Può essere una professione piuttosto solitaria, soprattutto secondo l’immagine diffusa del lavoratore solo soletto nel suo studio che macina parole al computer. È sempre sotto consegna, ha poche interazioni nel corso della giornata in virtù dell’assenza dei colleghi dei tradizionali lavori d’ufficio.

Il traduttore freelance interagisce essenzialmente con gli eventuali conviventi (genitori/partner/figli) che condividono i suoi spazi, oppure in modo virtuale.

In quanto freelance, può lavorare dove vuole e quando vuole.

Ma è proprio vero che il traduttore freelance è un lavoratore solitario che lavora fuori dai normali orari di lavoro?

Direi di no. Perché i clienti del traduttore seguono gli orari d’ufficio e il traduttore freelance deve essere reperibile in quegli orari per la corrispondenza con i clienti, le email, i preventivi, le consegne e quant’altro.

Certo, può lavorare anche alle 20:00 mentre in azienda la giornata si è conclusa, talvolta fino a tarda notte o a partire dal mattino presto. Da un lato si tratta di abitudini poco salutari se portate avanti a lungo termine, perché è importante staccare. Senza dubbio può capitare per gestire un’urgenza o diversi progetti contemporaneamente, ma deve restare un’eccezione. E d’altro canto come si fa a non seguire orari specifici per organizzare la propria giornata?

Trattandosi di una professione per cui l’organizzazione e l’autodisciplina sono essenziali, non ci si può alzare al mattino senza mettere in pratica un minimo di routine lavorativa.

Non esistono traduttori che lavorano improvvisando. Intendo i professionisti, quelli che fatturano e il cui reddito dipende dalla traduzione, non gli hobbisti o chi traduce occasionalmente per arrotondare.

Chi non ama lavorare da casa e preferisce “fare cose e vedere gente”, sceglie un coworking, cioè uno spazio condiviso dove incontrare altri professionisti.

Il traduttore solitario e solidale

In realtà, la traduzione è un’attività che poggia sulla solitudine del singolo e lo rende un essere solidale, partecipe della comunità, grazie al suo lavoro. Perché il traduttore rende possibile la comunicazione ostacolata dalle barriere linguistiche, diventando un traghettatore di messaggi e facilitando lo scambio tra più individui. Quindi è una professione che contribuisce in modo determinante alla collettività.

E poi c’è il networking, la creazione di una rete di contatti tramite incontri in carne e ossa e chat con gli altri traduttori, gli scambi su Skype, i momenti di formazione e di collaborazione fra traduttori, le videoconferenze con i clienti. E il traduttore che ha clienti nella zona fa loro visita e va a trovarli direttamente in azienda.

Insomma, non pensare al traduttore come a quel poveretto che traduce a lume di candela nel buio di una stanza nel cuore della notte. Non esiste. Il traduttore freelance è una parte attiva della comunità.

Come dico sempre: Traduco, ergo sumus. Traduco, dunque siamo.

Cosa puoi imparare da Albert Camus?

Albert Camus è un maestro di vita in grado di ispirare, motivare e invitare all’azione grazie alla sua eredità letteraria. Se non lo hai mai letto, ti stai perdendo un mondo. Se invece le sue opere ti sono familiari, sai bene di cosa sto parlando.

Premio Nobel per la Letteratura, nato in Algeria il 7 novembre 1913 e morto prematuramente il 4 gennaio 1960, Camus è stato un uomo infaticabile, un artista impegnato, scrittore, giornalista, filosofo, drammaturgo, saggista.
Mi è difficile parlare di lui al passato: Albert Camus non è solo il mio scrittore preferito, ma una delle massime fonti di ispirazione della mia vita.

Ho scoperto Camus a 18 anni quando ho letto L’Etranger (Lo Straniero) per la prima volta e sono rimasta folgorata. Lo stile elaboratamente semplice, le idee complesse, ma espresse in modo chiaro e diretto, e che idee!

Per me Camus è un punto di riferimento costante. La devozione che provo per lui mi ha portato a scrivere la tesi di laurea in francese sviluppando un tema affascinante e centrale delle sue opere: l’esilio.
Almeno una volta all’anno ho bisogno di leggere o rileggere una sua opera. Non saprei tutt’ora scegliere la mia preferita. Tra romanzi, saggi e opere teatrali, Camus è un autore di folgorante attualità che ha lasciato un patrimonio di idee alle quali possiamo attingere in continuazione e, soprattutto, mettere in pratica.

La sua splendida analisi sulla condizione umana nasce da riflessioni personali fino ad abbracciare in modo universale i concetti di assurdo e di rivolta. E Camus è lungi dall’essere pessimista, come l’hanno definito alcuni, ma un uomo votato alla solarità.

Puoi imparare tanto dall’inestimabile lucidità del suo pensiero. Camus ti insegna innanzitutto ad avere coscienza dei tuoi limiti, eppure a non abbandonare un atteggiamento costruttivo. Perché la forza d’animo conta anche più del risultato ottenuto.

E Camus ti invita a non cercare alcuna consolazione, ma a trovare sempre la forza di ricominciare, caricare il fardello sulle spalle e lottare per raggiungere la cima, proprio come Sisifo.
Essere un uomo è un compito faticoso, perché devi misurarti con i tuoi fallimenti e fragilità. Ma devi imparare ad affrontare consapevolmente ciò che ti spaventa, a vivere le tue scelte con responsabilità, senza cedere, ma inseguendo valori come la condivisione.

Ammettiamolo. Siamo sempre sopraffatti dalle ansie per il futuro, siamo tormentati da ciò che abbiamo e non abbiamo fatto in passato, tanto da dimenticare l’importanza di ogni attimo.
Invece sbagliamo.
Ecco la lezione indimenticabile di Camus:

La vera generosità verso l’avvenire consiste nel dare tutto al presente.
Albert Camus