Lavoro tra musica e silenzio

Quando lavoro prediligo il silenzio.
Credo che sia uno dei motivi per cui non riuscirei a lavorare in un ufficio condiviso con altri colleghi: le chiacchiere, il telefono, le interruzioni mi farebbero impazzire.

Per me il silenzio era necessario già durante gli studi, quando preparavo un esame o scrivevo la tesi. Infatti ricordo la frustrazione dei mesi di scrittura della tesi a causa dei rumori incessanti dei lavori di ristrutturazione del palazzo, a tal punto che i pochi momenti di silenzio di quelle settimane mi sembravano un privilegio.

Da quando lavoro come traduttrice freelance, il silenzio che mi circonda è indispensabile per la concentrazione e la produttività.

Mentre traduco la testa è già affollata dalle parole che leggo e che devo traghettare nella mia lingua, quindi non sopporterei l’ingerenza delle canzoni perché il flusso di parole si accavallerebbe e la concentrazione andrebbe a farsi benedire.

Certo, tutto dipende dai progetti, però talvolta riesco a mantenere la concentrazione anche ascoltando la musica. O meglio: soltanto musica classica o strumentale.

Ascoltando la musica classica, soprattutto Vivaldi e il mio amato Mozart, ho notato che non mi distraggo affatto. Anzi! Le dita si muovono ancora più veloci sulla tastiera perché scelgo appositamente dei brani movimentati e la traduzione diventa ancora più scorrevole e fluisce con naturalezza accompagnata dalla musica. Un esempio: “La Follia” di Vivaldi. Provare per credere! 😉

Ma se sto traducendo i sottotitoli di un video aziendale, non sopporto alcuna interferenza esterna malgrado le cuffie che mi isolano dal resto del mondo, in modo da restare focalizzata sul video e sull’audio da tradurre.

Confesso che ammiro molto chi è in grado di lavorare in un bar o un coworking circondato da tanta gente, voci, rumori, suoni e distrazioni.

E poi c’è chi lavora ascoltando i suoni della natura grazie a Noisli: pioggia, mare, il vento tra gli alberi fanno da sottofondo e ti proiettano in un’atmosfera naturale.

E tu? Qual è la tua esperienza?
Lavori con la musica o hai bisogno del silenzio assoluto? In che modo riesci a concentrarti più facilmente? 🙂

 

Dalla traduzione alla corrispondenza: tu o Lei? E vous?

È una questione dibattuta: come rivolgersi al cliente? Come tradurre “you” o “vous” in italiano?

Perché se la nostra lingua ci aiuta a fare una distinzione precisa tra il Lei di cortesia, tu e voi (inteso al plurale, eh! Perché Voi di cortesia è un retaggio letterario, ma anche meridionale e del fascismo), l’inglese e il francese mantengono una certa ambiguità… eppure non è un dilemma irrisolvibile.

Vous per la Francia!

La chiamavano Madame Lippolis. 😀

Proprio così, un cliente francese mi chiama “Signora Lippolis”. Questo appellativo mi metteva un po’ a disagio soprattutto all’inizio, perché “signora” non mi piace neppure in italiano. Ma è una questione di abitudine e il Lei di cortesia, che in francese corrisponde a vous, è la forma più diffusa.

I clienti francesi mi danno del vous. Sempre. Anche se collaboriamo da qualche anno, ci sentiamo diverse volte alla settimana e nelle email che scriviamo ci chiamiamo per nome.
Questa forma di cortesia reciproca è tipica dei francesi. Ci si dà del tu molto raramente in ambito professionale, perché tu è riservato a qualcuno che conosci bene, ad amici, parenti e familiari.

Non si tratta di freddezza o di stabilire una distanza invalicabile: è una grande forma di rispetto nei confronti dell’interlocutore.

Un esempio tratto dalla mail di una cliente:

Bonjour Raffaella,
Plaisir partagé ! Je suis ravie de travailler avec vous !

Con i clienti inglesi e americani c’è una maggiore confidenza: ci chiamiamo per nome, lo stile e i saluti sono più informali. Ciò avviene anche con interlocutori di altre nazionalità, come un Project Manager spagnolo con cui ho una corrispondenza in inglese.

E invece gli italiani?
Prevale il tu, sia nel caso dei clienti che conosco di persona sia nella corrispondenza con clienti a centinaia di chilometri di distanza e che non ho mai incontrato. Ma ci sono delle eccezioni, soprattutto legate all’età, come nel caso della titolare di un’agenzia di traduzioni italiana che mi dà del Lei: ovviamente anch’io uso questa forma di cortesia, vista la differenza d’età.

La traduzione dal francese

Quando traduco dal francese, vous è la forma più utilizzata nel testo di partenza. Ma in italiano può essere tradotto con voi (seconda persona plurale), Lei e tu.

Come si fa a scegliere?
Dipende dal contesto – come per qualsiasi cosa nella traduzione! – e dalle preferenze di ciascun cliente. Per evitare di sbagliare e utilizzare uno stile improprio, sarebbe meglio avere un file in cui specificare le preferenze di ognuno. 😉

E tu? Quale registro usi con i tuoi clienti o collaboratori?

Una storia di colleganza felice

Viviamo in tempi in cui si tende a puntare il dito contro il prossimo ignorando l’oscurità della propria ombra. Questo meccanismo fa scattare giudizi più o meno gratuiti che diventano all’ordine del giorno: gli altri fanno questo, tizio ha sbagliato, ecco l’errore clamoroso commesso da caio, la sua svista è imperdonabile…

Non sarebbe meglio ispirare un po’ di positività (e direi che ne abbiamo bisogno)?
Proviamo a riconoscere i meriti degli altri?

È per questo che ho deciso di cogliere l’invito di Laura Dossena, che nel suo post ci chiede di condividere le nostre storie di #colleganzafelice.

Perché la comunità dei traduttori è un po’ strana: concorrenza, argomenti tabù, competizione… ma anche solidarietà, condivisione, sostegno e collaborazione.

Non faccio nomi in segno di rispetto per la collega in questione che si riconoscerà quando leggerà questo post. Ma se le andrebbe di essere citata, ovviamente lo farò! 😉

La collega di cui parlo è una traduttrice con cui condivido le combinazioni linguistiche e diversi settori di specializzazione. A questo punto, la domanda sorge spontanea: ma come, allora non siete in competizione, visto che vi accomunano diversi elementi nel vostro lavoro? L’una non rappresenta la concorrenza dell’altra?

In teoria sì, però ragiono da sempre in questi termini: l’unica persona con cui sono davvero in competizione sono io. Perché cerco di fare sempre meglio, inseguendo la perfezione in un incessante duello con me stessa.

Così, quando lei mi ha contattato per la prima volta proponendomi di collaborare a un grosso progetto di traduzione dal francese all’italiano, sono rimasta stupita e onorata al tempo stesso.

Una collega più grande ed esperta di me vuole che lavoriamo insieme? Posso davvero contribuire in modo significativo? Sono all’altezza di una proposta del genere?

Ho accettato con entusiasmo e devo dire che la collaborazione ha rappresentato davvero una svolta. Noi traduttori siamo abituati a svolgere un lavoro piuttosto solitario e usciamo di rado dal nostro guscio. Ma stiamo anche imparando a riconoscere il valore del networking e della condivisione, spesso virtuale a causa della distanza, ma che in alcuni casi si concretizza in un bel confronto di persona.

Da allora collaboro con questa straordinaria traduttrice a diversi progetti, in uno scambio reciproco che mi insegna tantissimo ogni volta. I lavori di traduzione e revisione “in tandem” diventano uno splendido confronto in cui scopriamo di essere sulla stessa lunghezza d’onda, condividiamo e sciogliamo dubbi, ci scervelliamo e riflettiamo a volte più del dovuto su ogni parola, frase e virgola del testo che abbiamo di fronte.

Troviamo una soluzione insieme e poi ne valutiamo anche altre, perché consideriamo tutte le possibili sfumature.

E tra email e chat su Skype, imparo davvero tanto da lei e ho scoperto una persona dalle competenze eccezionali, spiritosa, affabile, scrupolosa e solare. E spero con tutto il cuore che un giorno ci conosceremo finalmente di persona, carissima *! 😀

Traduttore freelance: quando dire di no a un cliente

 

Lo confesso, dire di no a un cliente non è facile, soprattutto quando si tratta di nuovi clienti che possono arricchire il nostro portfolio (e fatturato).

Di recente mi è capitato di rifiutare progetti di traduzione da due nuovi potenziali clienti. Il motivo? Settimane già completamente piene di traduzioni, revisioni e consegne che non mi avrebbero permesso di dedicarmi come si deve ad altri progetti corposi.

E se il cliente non mi contatta più? E se trova qualcun altro e decide di affidarsi a lui? E se…?

Sono tanti i dubbi che ci assillano in questi momenti. Anche perché poi ci sono quei periodi in cui il lavoro scarseggia e si tende ad accettare qualsiasi cosa pur di fatturare.
Invece dobbiamo imparare a fare pace con questa sorta di senso di colpa, perché ne va della nostra salute mentale e fisica.

Se lavori come traduttore freelance, ecco alcuni casi in cui dovresti dire di no a un cliente:
  • Le combinazioni linguistiche richieste per la traduzione non sono quelle con cui lavori tu.
  • Hai lavorato in passato con questo cliente che non ti ha ancora pagato o ti ha pagato con un ritardo imperdonabile e quindi non ti fidi.
  • Non credi che il progetto sia nelle tue corde, perché riguarda un settore in cui non sei specializzato o richiede competenze che non hai.
  • Il budget proposto per la traduzione è troppo basso. NO alle tariffe da fame!
  • Hai un carico eccessivo di lavoro, troppe consegne e scadenze da inseguire e sai che aggiungere un’altra traduzione senza avere il tempo necessario per svolgerla a dovere significa consegnare un lavoro non all’altezza.
  • Sei in vacanza ma controlli comunque le email. Ma se sei in vacanza, non accettare l’incarico! O meglio, puoi proporre una data di consegna che non coincida con il tuo periodo di (meritato) riposo.

In alcuni casi in cui si rifiuta una traduzione a malincuore, consiglio di suggerire una soluzione alternativa: fornire al cliente il contatto di un altro traduttore freelance adatto a svolgere quel particolare lavoro. Il networking serve anche a questo. 😉

E tu, cosa aggiungeresti? Ti è capitato di rifiutare un lavoro per altri motivi oltre a quelli che ho elencato?

Sai spiegare il tuo lavoro a un bambino?

 

Se un bambino ti chiede che lavoro fai, non puoi rispondergli con le stesse parole che useresti con un adulto.

In genere, preparare un elevator pitch è indispensabile per presentarti in modo professionale a un interlocutore con cui avviare eventualmente una collaborazione e che può diventare un tuo cliente.

Ma bisogna anche essere in grado di adattare l’elevator pitch e di renderlo accessibile alla persona che hai di fronte: la fascia d’età, l’istruzione, l’esperienza e il vissuto di ognuno sono talmente diversi che non puoi usare una formula standard per presentarti a chiunque.

Io adatto la mia presentazione a chi ho davanti. A un sessantenne non dico che lavoro come traduttrice freelance, perché la parola freelance potrebbe disorientarlo: dico che lavoro come traduttrice professionista.

Ma se è una bambina che va all’asilo a chiedermi che lavoro faccio, anche la parola traduttrice risulterebbe incomprensibile.

Mi è capitato durante il fine settimana di Pasqua, quando la mia procugina di 5 anni che inizia a essere molto curiosa del mondo mi ha fatto la fatidica domanda.

La procuginetta mi chiede: “Che lavoro fai?”

La mia risposta: “Faccio diventare le parole di un’altra lingua in italiano, come il tuo libro italiano-inglese con le immagini sui colori e gli animali. Mi danno un testo in inglese e lo faccio diventare in italiano, oppure mi danno un testo in francese e faccio la stessa cosa.”

La bimba mi guarda stupefatta: “E come fai?”.

Mi indico la tempia: “Con la testa, perché ho studiato tanto. Quindi leggo quelle parole strane e le riscrivo in italiano.”

Non so se la spiegazione sia stata la migliore che potessi dare alla mia procugina. So che ho reso l’idea perché ha capito per quanto le sia possibile, visto che non ha ancora imparato a leggere e scrivere.

E tu? Se un bambino di 5 anni ti chiedesse che lavoro fai, sapresti spiegarglielo in modo comprensibile per lui? Che cosa gli diresti?

Il freelance non lavora quando vuole

“Beato te che lavori da casa”: quante volte hai sentito (o detto) questa frase?

Prima o poi, ogni professionista freelance si confronta con un’affermazione di questo tipo. Perché quando chi hai davanti capisce che lavorare da casa è lavorare a tutti gli effetti, scatta il passo successivo: l’invidia di non dover affrontare il traffico per andare in ufficio, o prendere i mezzi pubblici e far fronte a ritardi, scioperi e imprevisti di ogni sorta per raggiungere il luogo fisico – e diverso dalla propria abitazione – dove lavorare.

Ma oltre a invidiare il fatto di non dover recarsi in un altro luogo o città per andare a lavorare, questa affermazione ne implica un’altra.

“Beato te che puoi lavorare quando vuoi.”

Sai una cosa? Non è la realtà.

In teoria, il freelance lavora quando vuole perché può decidere di lavorare in determinati orari e giorni. Ciò significa che può organizzare i tempi di lavoro oltre alle modalità, dando prova di autodisciplina.

Però il principio non corrisponde sempre alla pratica. Perché i clienti di un freelance lavorano secondo i classici giorni e orari d’ufficio, quindi si aspettano di poterti contattare in quella fascia oraria. Ed è normale, no?

Quindi il freelance risponde alle telefonate e alle email di lavoro in orari comuni ad altre categorie di lavoratori. Ma può capitare che la sua giornata effettiva non si concluda alle 18:30 o alle 19:00 come per gli altri, ma che si prolunghi di qualche altra ora.

Perché il freelance vive di consegne. La consegna del lavoro scandisce il suo tempo.

E talvolta può essere necessario lavorare anche il sabato e/o la domenica, con sommo orrore dell’amico o parente che lavora come dipendente e considera il weekend inviolabile.

Al contrario, il freelance può decidere di staccare un pomeriggio o una mattina o di prendersi una giornata libera che non coincide con il fine settimana. Eppure non riesce a staccare del tutto, perché magari controlla le email: non si sa mai, magari arriva una richiesta da un nuovo potenziale cliente…

Tutto dipende dal modo di organizzare la propria attività professionale.

Certo, in passato mi è capitato di andare al cinema di mercoledì pomeriggio dopo aver consegnato un lavoro. Ma non è vero che lavoro quando voglio, proprio perché sono reperibile nei giorni e nelle fasce orarie in cui lavorano anche i miei clienti.

Inoltre il traduttore freelance ha anche clienti che vivono in altri Paesi e deve tener conto del fuso orario. Se arriva una richiesta da un cliente oltreoceano quando da noi è sera inoltrata, è buona norma segnalare di aver letto la mail, rimandando la risposta approfondita al giorno successivo.

Perché sì, a volte possono essere necessarie nottate di lavoro e orari poco ortodossi per gestire determinate consegne e urgenze. Ma non deve diventare una norma, altrimenti lo stato mentale e il fisico ne risentono.

Allora proviamo a smentire questo luogo comune: il freelance non lavora quando vuole.
Che ne pensi?

11 richieste delle agenzie di traduzioni

Il traduttore freelance lavora per agenzie di traduzioni e clienti diretti.

Soprattutto quando si è alle prime armi, è preferibile cercare di collaborare con le agenzie di traduzioni che, nel migliore dei casi, forniscono un feedback sul lavoro svolto e danno la possibilità di migliorarsi costantemente.

Ma bisogna armarsi di pazienza e cercare di contattare un numero esorbitante di agenzie per avviare collaborazioni interessanti e redditizie.

In genere, ci lasciamo scoraggiare quando inviamo un’email di presentazione e il curriculum a un’agenzia e non riceviamo una risposta. Infatti le agenzie di traduzioni ricevono innumerevoli richieste di collaborazione da parte dei traduttori e non rispondono a tutti, bensì soltanto a quelli che soddisfano i requisiti richiesti.

Bisogna fare ricerche mirate. È inutile contattare un’agenzia che si occupa soltanto di traduzioni legali e finanziarie se non traduciamo in quei settori: è solo una perdita di tempo per noi e per l’agenzia in questione che ignora l’email o la cestina immediatamente.

Non solo lingue e specializzazioni

Le combinazioni linguistiche e i settori di specializzazione sono imprescindibili. Presentarsi come tuttologi non è una buona idea, anche perché è impossibile saper tradurre testi di qualsiasi argomento e offrire la stessa qualità. Quindi è meglio specializzarsi in determinati settori (pochi!).

Ma quali sono le richieste specifiche delle agenzie di traduzioni?

Oltre agli elementi basilari, cioè il curriculum e le tariffe applicate dal traduttore, un altro fattore determinante è l’uso dei CAT Tools, gli strumenti di traduzione assistita. Trados è il più richiesto dal mercato, quindi investire nell’acquisto può rivelarsi profittevole.

Qui di seguito troverai una lista di ciò che un’agenzia di traduzioni cerca in un traduttore freelance. Non tutte hanno queste esigenze, ma l’elenco include le varianti possibili e immaginabili. 😉

  • Il curriculum
  • Le tariffe (a parola / a cartella / a ora)
  • Uso di CAT Tools (preferibilmente SDL Trados Studio)
  • Modulo di collaborazione da compilare
  • Referenze
  • Test di traduzione
  • Copia del diploma di laurea
  • Firma di un NDA (accordo di riservatezza e non divulgazione)
  • Esempi di traduzioni svolte in passato
  • Eventuali servizi aggiuntivi (e rispettive tariffe): interpretariato, revisione, post-editing, desktop publishing, sottotitolazione, transcreation
  • Iscrizione al portale dell’agenzia

Possono subentrare anche altri elementi, come l’accettazione da parte del traduttore dei termini di pagamento dell’agenzia…

E a te è mai capitato di ricevere ulteriori richieste da parte di un’agenzia di traduzioni? Che cosa aggiungeresti a questa lista?

8 desideri di un traduttore freelance per Natale

Con l’arrivo del Natale e della fine dell’anno, tendiamo a fare un bilancio dei mesi passati sia sul piano personale sia su quello professionale.

Ti capiterà di leggere un po’ ovunque la lista dei propositi per l’anno nuovo, un modo di mettere per iscritto i propri obiettivi al fine di realizzarli.
Ma poi… chi si affanna a trascrivere i nuovi propositi, torna a rileggere la lista per verificare il raggiungimento degli obiettivi prefissati?

Una cosa è certa: un desiderio generico non si tradurrà automaticamente nel risultato sperato. Bisogna visualizzarlo e renderlo misurabile, circoscriverlo, esprimerlo in modo specifico e dettagliato.

Un esempio?
Se vuoi un fatturato più alto per la tua attività, tendi a pensare: “vorrei guadagnare di più”. Invece prova a dire “devo aumentare il fatturato di (*) euro”. Cioè: stabilisci una cifra. E poi datti da fare per realizzare l’obiettivo.

Sono tanti i desideri di un traduttore freelance: aspirazioni, sogni, obiettivi, ambizioni che si sovrappongono nella sua mente.

Ecco una breve (!) lista di desideri che il traduttore freelance vorrebbe realizzare. Magari la magia del Natale farà la sua parte…

  1. Ricevere una risposta alle email inviate ai potenziali clienti.
  2. Non avere problemi e bug al computer, alla connessione e al CAT tool.
  3. Trovare più clienti.
  4. Preparare preventivi che vengono confermati dai potenziali clienti.
  5. Avere un flusso di lavoro stabile.
  6. Ricevere puntualmente il saldo delle fatture da parte dei clienti.
  7. Gestire le consegne e le scadenze fiscali con più tranquillità.
  8. Vedere che gli altri hanno una maggiore consapevolezza del tuo lavoro.

Come vedi, si tratta di desideri piuttosto generici che accomunano un po’ tutti i traduttori.
Ma non credere che Babbo Natale li nasconda nel suo sacco e te li farà trovare sotto l’albero…

Wish for it. Work for it.

Come dice Enrica Crivello, sperare non basta. Bisogna agire.
Perché un grande spoiler ti attende al varco: se rileggi attentamente la lista, ti accorgerai che gran parte di questi desideri dipende da te, dal tuo atteggiamento, da ciò che fai in prima persona.
Nessuno può realizzare i tuoi obiettivi al tuo posto, né Yoda e neppure Babbo Natale.

Un sollecito di pagamento, una email di follow up, una telefonata al cliente, una conversazione con le persone a te vicine per spiegare (anche per l’ennesima volta!) in cosa consiste il tuo lavoro: sono piccoli gesti importanti che devi fare tu.

"Sempre per te non può essere fatto." (Yoda)

“Sempre per te non può essere fatto.” (Yoda)

 

Quali sono i tuoi desideri per Natale? Che cosa desideri trovare sotto l’albero?
E cosa aggiungeresti a questa lista?

I miei post sulla vita da freelance

Nel mese di ottobre si celebra la European Freelancers Week, la Settimana Europea dei Freelance. E mentre in molte città di tutta Europa e online si svolgono dibattiti, incontri, seminari e conferenze su questo mondo professionale, ho pensato di condividere in questa pagina tutti i post che ho scritto in questi anni di blogging incentrati sulla categoria dei freelance.

Non si tratta dei post che riguardano strettamente la mia vita professionale di traduttrice freelance, bensì degli articoli relativi alla vita da freelance in generale.

Magari li hai letti già tutti in questi mesi, oppure qualcuno ti è sfuggito. Allora eccoli qui.

Se hai bisogno di motivazione, informazione, consigli, ispirazione o intrattenimento, spero che troverai ciò che cerchi. 😉

E se ti va, puoi lasciare un commento, condividere i post e raccontarmi la tua esperienza sulla vita da freelance. Perché la condivisione e il confronto arricchiscono ogni freelance.

Buona lettura!

Di riservatezza, segreto professionale e invisibilità

Ho letto il post di Carlotta Cabiati e mi sono fermata a riflettere sul concetto di riservatezza.

La riservatezza è una prerogativa imprescindibile della professione del traduttore.
Non intendo dire che il traduttore sia una persona schiva e riservata (anche se spesso è così), bensì che applica il concetto di riservatezza in ogni ambito della sua professione.

I traduttori firmano una quantità impressionante di accordi di riservatezza e non divulgazione. Che si tratti di agenzie di traduzione o clienti diretti, molti di questi chiedono al traduttore freelance di firmare un accordo per tutelare la riservatezza dei contenuti trattati prima di affidare un incarico di traduzione.

Questi NDA obbligano il traduttore a non condividere informazioni confidenziali che possono riguardare segreti industriali, dati sensibili o qualsiasi informazione di carattere commerciale o di altra natura che il cliente intende custodire.

Tali accordi possono generare alcune difficoltà pratiche per il traduttore che, alla luce di clausole piuttosto restrittive, non può ad esempio fornire una referenza specifica o un campione di una traduzione effettuata in passato in un determinato settore a un’agenzia di traduzione nonché potenziale cliente con cui intende avviare una collaborazione.

Ma ci sono anche altri grattacapi di natura analoga con cui il traduttore deve misurarsi quasi ogni giorno.
Un esempio: il traduttore lavora al progetto X per il cliente Y. Quando familiari, amici, parenti, conoscenti, curiosi eccetera gli chiedono “di cosa ti occupi al momento?”, “a cosa stai lavorando?”, la risposta è alquanto generica: il traduttore non si sente autorizzato a riferire il nome del cliente o a illustrare nel dettaglio il progetto. E la cosa importante è che ciò accade anche quando il traduttore non ha firmato un accordo di non divulgazione.

Perché?
Proprio per la riservatezza che fa parte dell’atteggiamento professionale e che non necessita di un accordo scritto per essere tale.

Ad esempio, io mi limito a dire che sto traducendo una brochure dal francese all’italiano per un’agenzia francese. E quel velo di invisibilità che avvolge la figura del traduttore anche in virtù dei segreti che custodisce professionalmente aggiunge un’ulteriore dose di mistero e di incomprensione diffusa della professione agli occhi degli altri.

Eppure a un avvocato non viene chiesto il nome del cliente a cui presta assistenza legale… oppure sì?

Insomma, quando raccontiamo il lavoro che facciamo dobbiamo tener conto di certi limiti. Che ne pensi?