Il traduttore è il professionista solitario per eccellenza oppure è votato alla condivisione con gli altri?
Provo a dare una risposta con una metafora tratta dal mio adorato Albert Camus il cui pensiero è articolato nell’apparente opposizione tra solitaire e solidaire, due concetti che in realtà si completano sottolineando il ruolo del singolo nella comunità.
Il traduttore è un essere invisibile, spesso considerato come una figura appartata e riservata nella solitudine della sua attività.
Ma è davvero così?
Può sembrare un’immagine romantica, ma analizziamola meglio.
Il traduttore freelance lavora da remoto, in genere da casa.
Come libero professionista, è un lavoratore indipendente che si occupa di progetti commissionati da diversi clienti.
Può essere una professione piuttosto solitaria, soprattutto secondo l’immagine diffusa del lavoratore solo soletto nel suo studio che macina parole al computer. È sempre sotto consegna, ha poche interazioni nel corso della giornata in virtù dell’assenza dei colleghi dei tradizionali lavori d’ufficio.
Il traduttore freelance interagisce essenzialmente con gli eventuali conviventi (genitori/partner/figli) che condividono i suoi spazi, oppure in modo virtuale.
In quanto freelance, può lavorare dove vuole e quando vuole.
Ma è proprio vero che il traduttore freelance è un lavoratore solitario che lavora fuori dai normali orari di lavoro?
Direi di no. Perché i clienti del traduttore seguono gli orari d’ufficio e il traduttore freelance deve essere reperibile in quegli orari per la corrispondenza con i clienti, le email, i preventivi, le consegne e quant’altro.
Certo, può lavorare anche alle 20:00 mentre in azienda la giornata si è conclusa, talvolta fino a tarda notte o a partire dal mattino presto. Da un lato si tratta di abitudini poco salutari se portate avanti a lungo termine, perché è importante staccare. Senza dubbio può capitare per gestire un’urgenza o diversi progetti contemporaneamente, ma deve restare un’eccezione. E d’altro canto come si fa a non seguire orari specifici per organizzare la propria giornata?
Trattandosi di una professione per cui l’organizzazione e l’autodisciplina sono essenziali, non ci si può alzare al mattino senza mettere in pratica un minimo di routine lavorativa.
Non esistono traduttori che lavorano improvvisando. Intendo i professionisti, quelli che fatturano e il cui reddito dipende dalla traduzione, non gli hobbisti o chi traduce occasionalmente per arrotondare.
Chi non ama lavorare da casa e preferisce “fare cose e vedere gente”, sceglie un coworking, cioè uno spazio condiviso dove incontrare altri professionisti.
Il traduttore solitario e solidale
In realtà, la traduzione è un’attività che poggia sulla solitudine del singolo e lo rende un essere solidale, partecipe della comunità, grazie al suo lavoro. Perché il traduttore rende possibile la comunicazione ostacolata dalle barriere linguistiche, diventando un traghettatore di messaggi e facilitando lo scambio tra più individui. Quindi è una professione che contribuisce in modo determinante alla collettività.
E poi c’è il networking, la creazione di una rete di contatti tramite incontri in carne e ossa e chat con gli altri traduttori, gli scambi su Skype, i momenti di formazione e di collaborazione fra traduttori, le videoconferenze con i clienti. E il traduttore che ha clienti nella zona fa loro visita e va a trovarli direttamente in azienda.
Insomma, non pensare al traduttore come a quel poveretto che traduce a lume di candela nel buio di una stanza nel cuore della notte. Non esiste. Il traduttore freelance è una parte attiva della comunità.
Come dico sempre: Traduco, ergo sumus. Traduco, dunque siamo.